25 Aprile, contro la dittatura del virus

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Settantacinque anni dopo ha ancora un senso celebrare il 25 Aprile? La domanda la pongono soprattutto coloro i quali scorgono nell’anniversario riferimenti politici, di una certa parte politica che cerca da sempre di intestarsi la festa della Liberazione come fosse un motivo di appartenenza, ideologica e morale, e non un evento di tutta la nazione, al di là degli schieramenti. Pleonastico ricordare i significati dell’appuntamento annuale, di quanto ha rappresentato per il nostro Paese e, appunto, per la nostra libertà. La risposta alla domanda dell’incipit è insita in questi stessi significati. E non dovrebbe suscitare né dubbi né ripensamenti, benché in tutti questi anni abbiano fatto premio anche altri valori, che non sono esattamente quelli che generarono la Resistenza. Valori che hanno diviso e, spesso, hanno allontanato l’esigenza di una riconciliazione, la quale, dopo tanto tempo, appare necessaria quanto doverosa.

Quest’anno, il 25 Aprile cade in un momento altrettanto drammatico, come nel 1945. Certo, i presupposti sono altri, non derivano da un ventennio di soprusi nazifascisti, ma in un  certo senso sono anch’essi dominati da una dittatura: quella del virus. Siamo di nuovi costretti a una resistenza contro la privazione della libertà in funzione della nostra salute. E abbiamo davanti un futuro che rischia di rivelarsi altrettanto incerto, privo di riferimenti veri, nella massima confusione istituzionale, tra liti e contraddizioni persino degli esperti, e senza la spinta degli ideali dai quali scaturì la straordinaria ripresa del Dopoguerra.

L’accostamento può sembrare una forzatura, persino ingeneroso e irrispettoso rispetto a quanto accadde allora e a quanto accade oggi. In verità, una differenza c’è: la Liberazione fu il frutto di un coinvolgimento popolare che richiese sacrifici a tutti i livelli; oggi lottiamo in stragrande maggioranza dal divano di casa a suon di slogan e di frasi fatte, come “siamo in guerra” o quell’ “andrà tutto bene” che nasconde la realtà: sino a questo momento è andato tutto male. Altro che storie. Al fronte ci sono stati e ci sono medici, infermieri, volontari e quant’altri hanno combattuto e combattono in prima linea il morbo. Gli altri, cioè tutti noi, sono (siamo) in attesa, quasi sempre con lamentazioni e fastidio, che qualcosa di positivo accada, che qualcuno, per dirla in un altro modo, ci renda la libertà.

Una cifra, la libertà, di cui non abbiamo mai apprezzato abbastanza l’importanza e il valore. Ce l’hanno donata i nostri padri, morendo sotto il fuoco di nazisti e fascisti; ce la ridonerà la scienza, quando sarà, il più presto possibile. Molto dipenderà anche da noi. E’ però una certezza che, oggi come settantacinque anni fa, torneremo liberi dalla dittatura del virus. Il 25 Aprile è in sé una data che muove alla speranza. Sempre se saremo capaci di coglierne lo spirito, di mantenere vivo il filo della memoria evitando i pressapochismi, le semplificazioni e le deviazioni politiche che l’hanno sin qui mortificato.

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