A Varese la medaglia d’oro a Calogero Marrone. «Nel terrore è rimasto umano»

Prefetto, sindaco e presidente della Regione consegnano la Medaglia d'oro ai familiari di Calogero Marrone

VARESE – «In un clima di terrore Calogero Marrone è rimasto umano e ha fatto la cosa giusta». Sono le parole pronunciate da Antonio Palumbo, sindaco di Favara, comune in provincia di Agrigento di cui era originario, nel giorno in cui a Varese è stato consegnato un importante riconoscimento alla memoria a Marrone, già premiato con il titolo di “Giusto tra le nazioni” nel 2013. Oggi, 22 marzo (nel video sotto), i suoi familiari hanno ricevuto la “Medaglia d’oro al Merito Civile della Repubblica Italiana”.

La cerimonia a Palazzo Estense

Il Salone Estense ha ospitato la mattina di celebrazioni, che si è aperta con i saluti istituzionali, a partire dal sindaco Davide Galimberti. «Marrone lavorava nell’ufficio anagrafe, che è l’ufficio di prossimità del cittadino. Era una persona comune, un impiegato che nella sua semplicità ha saputo salvare molte vite umane. Segno di come anche nella quotidianità si possano fare grandi cose». Il prefetto di Varese Salvatore Pasquariello ha ricordato l’iter, iniziato nel 2015, che ha portato al riconoscimento. Parola quindi al presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana: «Nel caso di Marrone il rigore morale ha prevalso sull’interesse personale. Con questo ulteriore riconoscimento si dà il giusto ricordo». Il presidente della Provincia di Varese Marco Magrini ha aggiunto: «Dopo l’8 settembre ha saputo fare una scelta e aiutare chi era in difficoltà».

Una scuola per Marrone

Il dirigente dell’Ufficio scolastico territoriale Giuseppe Carcano ha espresso l’auspicio che in futuro si possa dedicare una scuola di Varese a Calogero Marrone. A seguire il saluto dell’Istituto Studi e Ricerca Calogero Marrone e di Anpi provinciale Varese. Quindi il momento più atteso: la consegna della medaglia d’oro. Presenti alcuni discendenti di Marrone, tra cui il nipote Fulvio. «Speriamo che sia di monito per le nuove generazioni visto che oggi sta prevalendo di nuovo il qualunquismo e l’indifferenza». Poi gli interventi degli storici, tra cui Franco Giannantoni, che con le sue ricerche ha reso nota la vicenda di Marrone, e degli studenti delle scuole varesine.

Foto di gruppo dopo la consegna: autorità, familiari e lo storico Giannantoni

La storia di Marrone

Calogero Marrone, secondo di dieci figli di una famiglia della media borghesia siciliana, maturità classica, fu un antifascista della prima ora e subì il carcere per il rifiuto di iscriversi al Partito Fascista. Scontata la pena, nel 1931 emigrò a Varese per lavorare presso il Comune, a seguito della vincita di un concorso come “applicato”, diventando poi capo dell’Ufficio Anagrafe.
II 25 luglio 1943, alla caduta del fascismo, Marrone era apparso in pubblico col giornalista Mino Tenaglia, prendendo la parola dal Palazzo dei Fasci e delle Corporazioni in piazza Monte Grappa. Tra la folla vi erano cittadini, operai giunti in centro città dai quartieri operai di Valle Olona, Belforte e Masnago, a reclamare l’unità del Paese, liberato dall’oppressione fascista. Si legò al Partito d’Azione di Camillo Lucchina, futuro presidente del CLN (Comitato di Liberazione Nazionale) di Varese e Alfredo Brusa Pasqué, patriota ed organizzatore delle fughe in Svizzera di ebrei, renitenti alla leva della RSI, politici ricercati dalle polizie di Mussolini.
Marrone era collegato anche alla cellula cattolica dell’ingegner Andrea Pedoia e alla rete di soccorso antifascista “OSCAR” di don Natale Motta e don Franco Rimoldi. Con Antonio De Bortoli, artigiano mobiliere, Marrone organizzò il trasporto di armi e derrate alimentari al Gruppo Militare Cinque Giornate Monte di San Martino del colonnello Carlo Croce (antifascisti, soldati italiani e giovani fuggiti alla leva nell’esercito repubblichino) formatosi dopo l’8 settembre 1943, (armistizio dell’Italia con le potenze alleate e inizio della occupazione tedesca unita ai repubblichini fascisti), gruppo di cui venne riconosciuto “partigiano effettivo” dalla apposita Commissione.
Nel suo ruolo di capo dell’Ufficio Anagrafe, si prodigò per rilasciare falsi documenti di identità a ebrei e antifascisti, garantendo loro una via di salvezza dalla persecuzione nazi- fascista. Tradito e sospeso dal servizio, rifiutò di nascondersi per evitare ritorsioni alla famiglia. II 7 gennaio 1944, fu arrestato, rinchiuso nel carcere di Varese e torturato, ma non coinvolse mai altre persone. Internato nel campo di sterminio nazista di Dachau, vi mori il 15 febbraio 1945.