Tra aneddoti e battute finisce in parità il derby storico tra Borsano e Sacconago

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BUSTO ARSIZIO – E’ stato un faccia faccia intelligente e rispettoso con qualche simpatica frecciatina e qualche sana battuta spiritosa quello che ieri sera nella villa Calcaterra ha messo a confronto sinaghitti e bursanitti in occasione dei novant’anni di annessione a Busto. Un tuffo nella storia che ha visto alternarsi esperti della storia di Borsano, Mario Colombo e maestri di Sacconago, Augusta Grilli. Una serata riuscita secondo le aspettative dell’amministrazione comunale, rappresentata dall’assessore alla Cultura e Identità Manuela Maffioli, accanto al presidente del consiglio Valerio Mariani, all’assessore Gigi Farioli e al consigliere Paolo Genoni. Tant’è che la serata «non doveva avere la presunzione di tracciare un giudizio storico – come ha affermato Maffioli – ma rivalutare l’identità di Sacconago e Borsano conferendo loro spessore e dignità, perché la storia va raccontata e rivissuta». Dunque serata interessante con l’intervento immancabile di Ginetto Grilli, il guru del dialetto e della storia bustocca che parlando del conflitto Borsano- Sacconago a proposito delle reliquie (“Sacconago ne ha di più e ha quella di San Cirillo a parte la tonaca rubata dai sanmichelini”) ha divertito la platea con il vino “diuretico” citato persino da Foscolo e Carlo Porta. Bando ad ogni campanilismo quindi il confronto tra i due ex Comuni ha messo in luce pregi e difetti dei due borghi. Una par condicio con interventi di ugual tempo. Tutti avvincenti sul profilo storico e culturale.

La storia dei due “borghi”

borsano sacconago derby 1Forse non tutti sanno che la battaglia di Legnano ha avuto il suo incipit proprio a Borsano o che sempre questo ex Comune ha dato i natali proprio a Simone da Borsano, giurista e cardinale impegnato nella lotta agli eretici e a Francescuolo, genero del Petrarca o a Simeone Silci, trovatello caduto nel 1915 sul Montello a 33 anni che pare essere il compagno “massacrato con la bocca digrignata e la congestione delle sue mani” buttato sul campo accanto a Ungaretti. O ancora che nella grande guerra Borsano ha contato 286 richiamati, 33 caduti di cui due di 18 anni e uno di 19, quattro medaglie d’argento e tre di bronzo. Coinvolgente dunque il discorso di Mario Colombo che ha tracciato le radici del borgo a partire dal catasto teresiano del 1750 e ancora indietro fino a risalire alle radici nel X secolo. Non mancano le diatribe con Sacconago a proposito della costruzione dell’asilo dopo l’incendio del 1907 quando arrivano dei finanziamenti per la ricostruzione e i sinaghini non ci stanno.

Ma anche Sacconago è stata colpita da una calamità: tre anni dopo nel 1910 sopraggiunge minaccioso un ciclone che distrugge l’80 per cento del territorio soprattutto la campagna, che vede decimati grano, gelsi, viti. Ma in serata non sono mancate immagini che hanno messo in luce le chicche artistiche del Comune, come le settecentesche chiesa vecchia e Madonna in campagna, l’antica chiesa di San Donato del XII secolo, la scuola Ada Negri (1922) e la novecentesca parrocchiale. Anche Borsano ha fatto sfilare le sue preziosità storiche: l’antica casa della salute, primo antico municipio di Borsano, la parrocchiale di Giacomo Moraglia, l’asilo, la villa dei Rasini, la cappella di Sant’Antonio, Santa Maria dei Restagni, Porta Capuana, Cascina Burattana.

Pure di rilevo gli affondi storici di Enrico Candiani che ha tracciato dati toponomastici, l’istituzione del Comune di Sacconago e le sue traversie quando nel XVIII secolo è stato accorpato alla pieve di Olgiate, poi al distretto di Gallarate, unito a Cascina Brughetto, poi in epoca napoleonica è diventato zona Verbano, poi unito al cantone di Legnano.

Non meno interessanti gli spunti di Rolando Pizzoli, presidente della Famiglia Sinaghina che ha dato il là all’incontro citando due date remote: il X secolo che ha scandito notizie di Borsano e il 1115 con un atto notarile che ha parlato per la prima volta di Sacconago.

L’annessione

A sancire il matrimonio dei bursanitti e i sinaghini  con i bustocchi è Mussolini, nel 1928. Il capo fascista non ha a cuore l’autonomia, ma auspica provvedimenti che accentrano il potere. Meno funzionari sono più controllabili. Così con un telegramma al sindaco di Varese i due comuni vengono accorpati a Busti grandi.

 

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