Rinvii a giudizio e conseguenze politiche

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Nessuno è colpevole fino alla sentenza definitiva. Una sottolineatura scontata, ma che pare preponderante tra i rinviati a giudizio nell’inchiesta Mensa dei poveri: tutti si proclamano innocenti. Si può ritenere che per molti, se non per alcuni di loro, sia la verità: finiti nelle spire dell’inchiesta milanese per imprecisate o imponderabili circostanze. Può essere. Quanto meno lo accerteranno i giudici durante il processo, in agenda a novembre. Per gli altri, che non compaiono nel provvedimento del Gup di rinvio a giudizio, varranno le decisioni sulla base delle richieste di patteggiamento, finanche per il regista indicato dai pubblici ministeri del cosiddetto sistema che prende esattamente il nome del principale indagato: Caianiello. Patteggiamenti che, in un certo senso, vengono in scia alle dichiarazioni rese in fase istruttoria, ammissioni e conferme di accuse che a questo punto appaiono difficili da confutare, se non addirittura da ritrattare.

Questioni giudiziarie e risvolti politici. Pesanti conseguenze che si sono manifestate da subito, soprattutto per Forza Italia, il partito con il maggior numero di esponenti coinvolti, al punto che i berluscones locali hanno subito uno tsunami interno, come si sa. E sono ora attesi dall’appuntamento con le urne, verifica decisiva per il loro futuro, addirittura per la loro sopravvivenza.

Meno impattante sull’immaginario collettivo è il rinvio a giudizio di Andrea Cassani, sindaco leghista di Gallarate. Chiamato in causa dai magistrati per vicende marginali rispetto all’impianto delle accuse più sostanziose, dovrà affrontare la campagna elettorale per le amministrative con una macchia giudiziaria che i suoi avversari hanno già cominciato a sfruttare come arma contro di lui. Un’arma che potrebbe anche rivelarsi spuntata, ma che non verrà ignorata. C’è chi ha invocato e invoca le dimissioni del primo cittadino gallaratese, il quale nemmeno ci pensa ad abbandonare il campo. Perché si ritiene innocente. E perché il suo sponsor di maggior prestigio si chiama Matteo Salvini. Non a caso il leader della Lega è arrivato in visita a Cassani proprio alla vigilia della decisione del Gup.

Un endorsement che vale l’intera campagna elettorale, al punto che gli spifferi sussurrano di un Salvini disposto a perdere a Varese e finanche a Busto Arsizio, ma non a Gallarate. In secondo luogo, le dimissioni non sono un istituto molto frequentato nel nostro Paese: all’estero ci si dimette anche solo per una fotografia compromettente, da noi si rimane in sella per situazioni ben più gravi di quelle che riguardano Cassani. Che potrebbe anche avere responsabilità politiche per quanto accaduto nella sua città e nella sua stessa amministrazione, ma di sicuro non ha partecipato al banchetto di una classe dirigente che ha fatto strame della correttezza e, di più, dell’onestà.

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