Emergenza medici di base nel Milanese. Centinaia di posti, ma poche risorse

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LEGNANO – «La nostra situazione è drammatica. La prima emergenza è la mancanza totale di sostituti, non ne troviamo più uno. Ho scritto un appello accorato ad Ats. La risposta? Sostituitevi fra di voi». Lo sfogo è di Roberta Casson, medico di base a Cerro Maggiore, ma come lei ce ne sono tanti altri nel Milanese, in Lombardia e in tutta Italia (nella foto, una recente protesta di alcuni pazienti anziani a Milano).

Da Castano Primo a Villa Cortese passando per Vanzaghello, per restare nell’Altomilanese e citare i casi più recenti, i medici di medicina generale sono sempre meno. Molti negli anni sono andati in pensione, mentre ben pochi neolaureati hanno deciso di fare questo mestiere. Eppure la pandemia ha dimostrato quanto queste figure professionali siano fondamentali per salvaguardare la salute nell’ambito della cosiddetta assistenza primaria.

Diverse le cause, soluzioni difficili

Nella Città metropolitana di Milano, secondo il bollettino ufficiale della Regione di giugno mancavano più di 200 medici di base. Per tali carenze, osserva Enzo Scafuro, segretario lombardo dello Snami-Sindacato nazionale autonomo dei medici italiani, «sono state presentate 60 domande e di queste solo 40 sono entrate in convenzione». Dunque sono rimasti vacanti più di 150 posti: non si trovano nuovi dottori. Ma perché?

Innanzitutto, negli anni è mancata una programmazione efficace per far fronte ai pensionamenti. Le borse stanziate per la formazione sono sempre poche: «Quattro anni fa – spiega all’agenzia Dire Anna Pozzi, medico di base da 37 anni e segretaria milanese della Fimmg-Federazione italiana dei medici di medicina generale – le borse erano 90-100 in tutta la Lombardia, poi sono aumentate raggiungendo quota 400. Ora però sono diminuite di nuovo: nell’ultimo anno ne sono state messe a disposizione circa 250».

Altro punto dolente: lo stipendio troppo basso garantito durante il percorso di formazione. Per diventare medico di base non bisogna, infatti, frequentare un corso di specializzazione di 6 anni: basta seguire un percorso formativo di 3 anni, che garantisce una retribuzione media di 1.000 euro mensili.

Sempre più pazienti per ogni dottore

Il rapporto ottimale è di un medico ogni 1.200-1.300 pazienti: vista la situazione, i contratti nazionali fissano il tetto massimo a 1.500. In Lombardia il rapporto medio è di un medico ogni 1.400 pazienti, ma in alcune zone è stato chiesto di elevare il massimale fino 1.800. «Io ho 1.350 pazienti – riprende Casson – per 4.000 euro mensili di stipendio con cui pagare anche spese, tasse, infermiere e call center per gestire gli appuntamenti (indispensabili per le visite) e le richieste di ricette. Rimangono meno di 2.500 euro, senza ferie né malattia, per assicurare la reperibilità 12 ore al giorno, dalle 8.00 alle 20.00. Gli stipendi sono fermi a 15 anni fa. I bonus? Mai visti, neanche quelli Covid. Ma lo studio deve rimanere sempre aperto, tranne nei festivi e prefestivi: se non ci sei, devi trovare un sostituto. Già da qualche anno è difficile, ora è diventato impossibile».

Negli ambulatori con più medici e nei centri polifunzionali ci si può sostituire tra colleghi, ma chi ha lo studio da solo è spiazzato. «I pochi medici sono “sequestrati” dai centri vaccinali e i giovani sono spaventati dalla mole di lavoro e dall’esiguo stipendio. Sono convinta – attacca la dottoressa Casson – che si voglia smantellare la medicina di base per fondare le “case di comunità”, una sorta di centri territoriali con i medici rimasti, qualche infermiere e specialista. Così però ci saranno molti meno servizi a parità di tasse».

L’incognita dei richiami vaccinali

Per incentivare i medici a rispondere agli appelli dell’Azienda sanitaria, alcuni sindaci hanno messo a disposizione spazi comunali da poter utilizzare come uffici e ambulatori. Ma non è servito. A essere più in difficoltà sono le periferie della metropoli e i comuni più distanti dal capoluogo.

La domanda a questo punto sorge spontanea: se i grandi hub saranno smantellati e per i richiami delle vaccinazioni anti Covid si farà affidamento sull’assistenza territoriale, ci saranno abbastanza medici di base da poter coinvolgere?

Ma c’è anche un altro problema

Altra carenza cronica, gli infermieri. «Il 10 luglio il mio se ne va, ne cerco invano uno da mesi. A noi – spiega Casson – servono per delegare una parte del carico inenarrabile di ricette ed esenzioni, oltre che per misurazioni e medicazioni. Ats riconosce al medico un contributo di 250 euro al mese per un infermiere che lavori almeno 5 ore a settimana: l’eventuale differenza la mettiamo di tasca nostra. Ma non se trovano più, come non ne trovano le Rsa. Gli infermieri che vanno a vaccinare per il Covid prendono 50 euro all’ora: voi che cosa fareste al posto loro? Adesso ci è arrivato sulla gobba anche il green pass, almeno qui i sindacati si sono opposti a che gli Mdb siano il riferimento informatico per chi non riesce a farlo da solo su internet o con l’app».

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