Coronavirus, i conti (non) si fanno alla fine

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I conti si fanno alla fine. Nella speranza che il coronavirus arretri quanto prima. Ma è pur vero che una qualche riflessione sulla drammatica emergenza in cui è precipitato il Paese può essere fatta fin da subito. Riflessioni e domande. Una su tutte: era davvero impossibile prevedere che ci capitasse di essere assediati totalmente dal morbo? Ciò a dire che forse potevamo pensarci prima, attuando misure restrittive già da un paio di settimane. Qualcuno potrebbe obiettare: bello parlare a posteriori. E qualcun altro potrebbe rispondere: gli esperti avevano lanciato l’allarme per tempo. I governatori delle Regioni del Nord, Lombardia e Veneto in primis, l’avevano raccolto e rilanciato, voci nel deserto. Anzi, coperti da contumelie.

Adesso si cerca di correre ai ripari, nel tentativo di evitare il collasso sanitario, economico e sociale. Ce la faremo? Siamo un popolo straordinario, certo che ce la faremo. Ma siamo straordinari anche nelle sottovalutazioni dei problemi, affidandoci allo stellone italico, e nella complicazione di essi. Abbiamo urgenza di migliaia di respiratori per gli ammalati più gravi, respiratori che però non ci sono. Per acquistarli c’è bisogno che la Consip, la centrale d’acquisti della pubblica amministrazione, concluda le procedure per dotare gli ospedali dei vari dispositivi per le terapie intensive e sub-intensive. Un sistema borbonico, dominato dai burocrati, che in questo momento proprio non servono, anzi, sono di pesante intralcio. L’aspettativa unanime è che la nomina del commissario straordinario al coronavirus, nella persona di Domenico Arcuri, aiuti a superare alla svelta tutti gli ostacoli, ottenendo dal governo una totale libertà d’azione in materia.

Potevamo fare prima? Certo che sì. Ma siamo rimasti impelagati nelle tante, troppe versioni sulla pericolosità e sulla velocità di diffusione dell’epidemia. Dai virologi convinti che si trattasse di una semplice influenza a chi, ancora oggi, tende in modo scriteriato a minimizzare l’emergenza. Se non scienziati, opinionisti e improvvisati immunologi che, in tv e sui social, offrono una versione inaccettabile della vicenda. Il loro messaggio però passa, ed è devastante.

Accanto a loro, diciamolo senza tema di smentita, c’è una politica titubante, piena di indeterminatezze, timorosa di sovvertire le abitudini degli elettori e, quindi, di perdere potere. Una classe dirigente che ha agito tardi. Il risultato è quello che abbiamo sotto gli occhi, purtroppo per noi. Qui il discorso prende proprio le strade della politica. E apre a un quesito: saremmo a questo punto, per dirne una, se la Lombardia avesse avuto le mani libere e, in scia alla responsabilità iniziale dei suoi governanti, si fosse mossa affrancata da Roma? Qui sì che i conti si faranno davvero alla fine.

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