Dazi Usa, export alimentare fermo. Paga il conto anche il made in Varese

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VARESE – L’entrata in vigore dei dazi azzera la crescita delle esportazioni alimentari made in Italy negli Stati Uniti che rimangono stagnanti (+0,6%) ad ottobre dopo che nei nove mesi precedenti erano aumentate in media del 14,1%. La riflessione di Coldiretti Varese si rifà all’analisi sui dati Istat relativi al commercio estero ad ottobre che evidenzia gli effetti delle misure protezionistiche Usa scattate il 18 ottobre scorso contro una lista di beni europei che ha colpito molte delle più note specialità tricolori, molte delle quali sono prodotte grazie al lavoro dei nostri imprenditori agricoli e allevatori, come ad esempio il Grana Padano e il Gorgonzola che si fanno anche con il latte munto nelle stalle del Varesotto. E oltre i formaggi, il lungo elenco comprende anche salumi, agrumi, succhi e liquori.

Nella black list decisa dalla Rappresentanza Usa per il commercio (Ustr) nell’ambito della disputa nel settore aereonautico tra l’americana Boeing e l’europea Airbus – ricorda Coldiretti Varese – ci sono complessivamente beni alimentari italiani per un valore all’esportazione di circa mezzo miliardo di euro, colpiti da aumenti tariffari aggiuntivi del 25% che hanno provocato il rincaro dei prezzi al consumo ed una preoccupante riduzione degli acquisti da parte dei cittadini e ristoratori statunitensi.

La lobby del falso formaggio

Il dazio per il Grana Padano ad esempio è passato dagli attuali 2,15 dollari al chilo a circa 6 dollari al chilo. Il risultato è che il consumatore americano lo dovrà acquistare sullo scaffale ad un prezzo che sale dagli attuali circa 40 dollari al chilo ad oltre i 45 dollari, un valore pari a piu’ del doppio di quello del parmesan, la versione tarocca realizzata negli Usa. A beneficiare della situazione è infatti la lobby del falso formaggio Made in Italy in Usa (CCFN) che  ha esplicitamente chiesto con una lettera al presidente Donald Trump di imporre tasse alle importazioni di formaggi europei.

A trarre vantaggio infatti – spiega la Coldiretti prealpina – sono state proprio le brutte copie americane realizzate in Wisconsin (qui si è scoperto anche un improbabile “gorgonzola” che, ovviamente, nulla ha a che fare con il prodotto della tradizione lombarda), California e nello Stato di New York, dal parmesan con un aumento della produzione ad ottobre del 5,7% rispetto al mese precedente fino al Romano con un balzo del 32,2% nello stesso periodo.

Chi paga il conto

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Fernando Fiori

“In attesa della sentenza del Wto sui sussidi americani a Boeing e degli sviluppi del negoziato in corso è sempre più urgente l’attivazione di aiuti compensativi ai settori più duramente colpiti come richiesto per prima dalla Coldiretti e successivamente condiviso a livello nazionale e comunitario” commenta il presidente di Varese Fernando Fiori nel sottolineare la necessità di “rafforzare i programmi di promozione dei prodotti agricoli nei paesi terzi e concedere sostegno agli agricoltori che rischiano di subire gli effetti di una tempesta perfetta tra dazi Usa e pericolo di Brexit senza accordo, dopo aver subito fino ad ora una perdita di un miliardo di euro negli ultimi cinque anni a causa dell’embargo totale della Russia”.

Soprattutto – aggiunge Fiori – “non capiamo come mai il “conto” della questione Airbus, o della digital tax debba pagarlo l’agricoltura italiana, che non c’entra nulla con tali ambiti. Certo è che il dazio al 100% per il Grana Padano ad esempio farebbe aumentare il prezzo al dettaglio a quasi 70 dollari al chilo, un valore superiore anche di 3–4 volte rispetto al Parmesan di produzione Usa che viene posto ingannevolmente sullo stesso scaffale dell’originale Made in Italy”.

E, a livello nazionale, la situazione diventerebbe drammatica se la black list dei prodotti italiani colpiti si allargasse al vino che, con 1,5 miliardi di export nel 2018, rappresenta il prodotto agroalimentare italiano più venduto negli Stati Uniti.

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