De Sanctis candidato con Forza Italia: «Diamo alla Cultura il posto che merita»

Varese Filippo De Sanctis

VARESE – C’è sempre lo zampino dell’amore nella vita di Filippo De Sanctis. L’amore per una ragazza varesina l’ha portato da Roma a Varese, l’amore per il teatro l’ha spinto ha lasciare il suo percorso professionale al Fai di Milano per lavorare nella sala teatrale della Città Giardino e l’amore per la cultura l’ha spinto a scendere in politica per le prossime amministrative, candidato nella lista dei moderati di centrodestra guidata da Forza Italia.

Ed è quasi sorprendente ascoltare la definizione che lui, romano di Roma, che ha vissuto Milano, dà a Varese: «E’ una città aperta, come tutte le città di confine perché da qui passano moltissime persone e gode degli scambi di punti di vista differenti. So che molti sostengono il contrario, ma solo perché osservano Varese con gli occhi sbagliati». Però attenzione: «Perché l’ambizione di volerla trasformare in una piccola metropoli cambierebbe l’anima alla Varese che conosciamo. Il rischio c’è: troppi supermercati, troppo traffico». Certo il cambiamento non si può fermare, ma lo si può governare e la cultura, «che dovrebbe essere una priorità nell’agenda di un’amministrazione», potrebbe diventare il punto di riferimento nella road map per costruire la città del domani. Anzi del presente.

Filippo De Sanctis, perché ha deciso di candidarsi? 
«La mia non è una candidatura personale. Il mio impegno vuole essere una scossa. Un segnale ai colleghi che operano nel mondo della cultura cittadina. In questi anni ci siamo spesso confrontati, abbiamo messo in campo iniziative importanti, ma non siamo mai riusciti a incidere e a far sì che la cultura diventasse una leva strategica per chi ha amministrato e amministra la città. Per questo auspico che il mio impegno possa diventare anche l’impegno di altri colleghi. Anche in altri schieramenti. Non è importante per chi ci si candida. E’ fondamentale portare il nostro contributo e la nostra visione della cultura in politica. Anzi, nell’amministrazione».

Durante la sua presentazione ha parlato di promesse deluse. Si riferiva alla questione teatro? 
«Alla questione teatro, ma non solo. Mi spiego meglio. Questa amministrazione non ha mai avuto un vero assessore alla Cultura. Cecchi, presentato dal sindaco come il “salvatore” della Cultura a Varese, ha avviato un percorso interessante subito interrotto. E’ stato una meteora che si è spenta sbattendo la porta e senza salutare nessuno. Da quel momento abbiamo perso un punto di riferimento, e anche tutti i discorsi si sono interrotti».

Cecchi ha lasciato Nature Urbane. Un’iniziativa forse non sfruttata, ma una bella dote, non crede?
«Sulla carta certamente sì: un’ottima iniziativa. Peccato che la realtà dica un’altra cosa. E proprio qui sta il punto. Sulla Cultura non c’è una visione complessiva. Varese offre anche spunti di grande interesse e che potrebbero andare ben oltre i confini cittadini. A Natura Urbane aggiungo Varese Estense Festival o tra Sacro e Sacro Monte. Eventi che non hanno mai potuto godere di una promozione forte e unitaria. Ed è per questo che sono rimaste slegate tra loro e non hanno “sfondato” i confini varesini».

Milano non è poi così lontana. Non è l’offerta della metropoli a fagocitare tutte le ambizioni culturali di una città come Varese?
«Ma va. La sfida è ribaltare questo punto di vista. Milano ha un’offerta esorbitante, ma paradossalmente anche i milanesi rivolgono lo sguardo verso altri luoghi. Che noi abbiamo. Penso ai tre grandi eventi che sono stati qui citati e che godono di ambientazioni straordinarie che Varese possiede e Milano no. Non è una mostra spot, anche se grande e straordinaria, a segnare la cultura di una città. Ci vuole altro».

Torniamo al “derby” Apollonio – Politeama, uno dei temi di questa campagna elettorale. Il “suo” teatro, quello di piazza Repubblica, sembra destinato a soccombere. Sarà così?
«Credo che non ci sia alcun “derby”. Per due motivi. Il primo è che in questo momento il Politeama è solo un sogno che  il sindaco Galimberti ha scritto su un foglio di carta. Non c’è un progetto, non sappiamo quale ruolo avrà quel luogo, non conosciamo la capienza e neppure le dimensioni del palco. Insomma, aspettiamo di vedere un progetto, semmai arriverà – ne dubito – prima di aprire una discussione seria. Il secondo motivo è che una città come Varese ha bisogno di un’offerta culturale variegata. Non esiste che ci sia un solo teatro. E per di più “di Stato”. Questo non è accettabile. Come non è accettabile la visione del consigliere Spatola, il quale ha dichiarato che “non può esserci un altro teatro che faccia concorrenza alla stagione teatrale del Comune”. Siamo a Varese e siamo nel 2021, non nell’Unione Sovietica di qualche decennio fa».

L’Apollonio però ha un orizzonte di vita di poco più di tre anni. E poi?
«Oggi l’Apollonio è una sala con 1.200 posti con una stagione teatrale importante. Una realtà che dà lavoro, dà il suo contributo all’economia cittadina e fa cultura. Senza gravare sulle casse di Palazzo Estense. Partiamo da qui e poniamoci qualche domanda seria. E’ chiaro che stiamo parlando di un teatro che necessità di una riqualificazione, anche architettonica. Ma se davvero si vuol far vivere piazza Repubblica l’abbattimento di questa struttura non può essere la risposta».

Quindi? 
«Quindi dico che l’arrivo del mercato potrebbe essere anche una buona cosa. Ma i banchi nel pomeriggio se ne vanno. E a quel punto la piazza si svuota. Certo, ci sarà il recupero dell’ex caserma, ma anche qui, credo che la sua vitalità finirà con l’arrivo della sera. Ovvero quando dovrebbe accendersi il teatro. Insomma, porre fine all’attività dell’Apollonio significherebbe spegnere la luce sulla piazza. Quando invece tra l’ex caserma Garibaldi e l’Apollonio potrebbe nascere “un dialogo culturale” importante, del quale ne beneficerebbe la piazza e l’intera città».

Lei è stato molto critico con l’amministrazione e il sindaco Galimberti. Possibile che non salva nulla di questi cinque anni? 
«Sono critico, ma non posso dire che non sia stato fatto nulla. E’ una dato di fatto che si poteva fare di più e che la Cultura non ha l’attenzione che meriterebbe. A Galimberti però riconosco un merito: ha dimostrato che ci può essere un cambio di colore politico nell’amministrare Varese. Ora però è tempo di dare vita all’alternanza governativa. E’ il momento di cambiare e di portare la Cultura al centro dell’attività di un’amministrazione. Di nuovo di centrodestra».

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