Evviva Malpensa. E i suoi lavoratori sottopagati

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Battiam le mani alla riapertura del T2 di Malpensa. Salutata da una cerimonia come non se ne vedevano da anni in aeroporto (c’era persino la banda), con la presenza di autorità e di una foltissima schiera di affezionati della tartina come conviene in simili occasioni. Attenzione: non intendiamo affatto polemizzare con l’organizzazione di un evento che rimette in quota lo scalo della brughiera, garantendogli prospettive inedite di traffico, di passeggeri, di utili. Per ripetere il ritornello che da anni tiene botta quando si parla di Malpensa: ne dovrebbe guadagnare tutto il territorio. Vero, verissimo, però. Però a margine delle ciacole di circostanza, delle giuste rivendicazioni per aver affrontato il drammatico periodo del Covid, per gli sgambetti patiti da Roma e dalla ex compagnia di bandiera, appare sullo sfondo la questione dei lavoratori precari e sottopagati, che i sindacati ritengono addirittura sottoposti a una forma di schiavismo.

Esagerati? Che qualcosa sia cambiato in peggio dentro il perimetro aeroportuale e anche fuori, è cosa risaputa. Le esternalizzazioni di molti servizi, sostenute da una logica aziendale “più flessibile”, hanno prodotto l’arrivo di aziende e società che applicano contratti sicuramente legittimi quanto da miseria salariale per i dipendenti. Situazione nota, che richiederebbe una decisa presa di posizione anche della politica, così come proposto dagli stessi rappresentanti dei lavoratori, e, per la politica, delle istituzioni che più di altre hanno voce in capitolo. Una su tutte: il Comune di  Milano, tra l’altro gestito da un sindaco e da una giunta di sinistra, al quale vanno gli utili (rieccoci al punto) generati da Sea: 182 milioni di euro. Mica pizza e fichi, così per dire. Roba da sciuri, che Palazzo Marino si intasca paro paro. Soldi che potrebbero essere, ad esempio, girati in parte ai paesi e al circondario che ospitano Malpensa, che ne ricavano benefici, più virtuali che concreti, ma ne patiscono per contrasto gli effetti indotti negativi. Qui potremmo aprire un discorso lunghissimo, che ci porterebbe su altri temi, in cima a tutti quello ambientale.

Torniamo nei ranghi. Non tocca al Comune di Miano né a Sea occuparsi direttamente dei contratti di lavoro di chi opera in aeroporto per conto di aziende esterne, non è loro competenza. Non tocca a loro in senso giuridico, ma la questione è, a questo punto, di natura etica. E, essendo etica, riguarda proprio la politica. La quale chiacchiera spesso e volentieri di salari da riparametrare, di questioni legate al costo della vita, di necessità concrete per milioni di cittadini che guadagnano appena il necessario per sopravvivere. Appunto, in aeroporto ci sono lavoratori che per 12 ore al giorno e con turni pazzeschi faticano a racimolare stipendi mensili di mille euro, quando ci arrivano. E non si sa nemmeno quanti sono, centinaia, probabilmente migliaia. Nessuno ha ancora fatto la conta.

Il problema è tutt’altro che insignificante, ripropone d’attualità la cosiddetta Grande Malpensa, lo scalo del Duemila che avrebbe dovuto portare ricchezza in cambio di un approccio invasivo ambientale. C’è chi scrive che la grande illusione è finita. Non è del tutto vero: l’aeroporto rimane il principale riferimento economico e occupazionale per l’intero territorio, per la provincia di Varese e per l’Alto Milanese. Il nodo sono le inedite condizioni lavorative, una precarietà che comunque interessa tutta la nazione, situazioni che vanno affrontate e risolte in senso generale. Ed è compito della politica, di chi se no? Tocca a quanti sono lesti nel fare passerella e riempirsi la bocca di retorico bla bla. Lo sappiamo: Malpensa è pur sempre un’ ineludibile occasione. Soltanto che è l’aeroporto di Milano. A noi, povera provincia, ci rimangono i problemi e neanche le briciole.

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