Fontana o Moratti? Contrapposizione con un suo perché

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Banca d’Italia ha dedicato uno studio alla situazione economica della Lombardia. Report pubblicato nei giorni scorsi che conferma la vitalità del mondo produttivo lombardo, capace di fronteggiare o, comunque, di riprendersi da crisi come quelle pandemica e della guerra in Ucraina. Il comparto economico si intreccia inevitabilmente con la politica, con un sistema politico definito poliarchico, cioè, composto da una pluralità di soggetti politici. In altri termini, parliamo di assimetrie del potere locale al punto che, la relazione di Bankitalia, indica quattro diverse Lombardia anche sotto il profilo economico: l’arco alpino nel comparto valtellinese, la direttrice pedemontana dal Varesotto fino a Brescia, il sud con Mantova, Pavia, Lodi e Cremona, Milano e il suo hinterland. Territori caratterizzati da diverse situazioni produttive e manifatturiere. E da impostazioni politiche che ne definiscono il carattere sociale e, appunto, le scelte elettorali. Non è un caso come nelle città primeggi il centrosinistra, in contrapposizione alle scelte elettorali più spostate verso centrodestra nelle campagne. Così che, per esemplificare, Milano sia governata da una giunta progressista, mentre in Regione siano dominanti moderati e sovranisti.

Sul Corriere della Sera, Dario di Vico, una delle firme di maggior prestigio, sottolinea come nel recente passato (Prima Repubblica) in Lombardia dominasse il forzaleghismo, cioè l’asse tra Silvio Berlusconi e Umberto Bossi. Una entità politica, se così possiamo chiamarla, che riusciva a tenere assieme tutte le istanze di una regione comunque composita e, per molti aspetti, piena di contraddizioni. Scrive di Vico: “Si trattava dell’abbinata tra una Lega più pedemontana e valligiana e il partito Forza Italia capace di rappresentare maggiormente il tessuto dei ceti medi cittadini”. E adesso? Le sconfitte elettorali di Matteo Salvini, che punta a una Lega nazionale, sono (sarebbero) state determinate in ampia parte proprio da una prospettiva politica che non è più, e forse mai lo è stata, nelle corde dei lombardi. Da qui, l’ipotesi che “puntare di nuovo su Fontana per le Regionale ha il valore di un arroccamento e ha aperto la strada alla candidatura di Letizia Moratti”.

Lo scenario che ne deriva non depone per una tranquilla navigazione del centrodestra verso l’appuntamento con le urne del prossimo anno. C’è molto da lavorare per riconquistare l’unità di un tempo. E con l’unità, una nuova credibilità. Facile pensare che la conferma di Attilio Fontana serva per tenersi strette le “partite Iva”, le Pmi, bacino di voti leghisti. Per la Moratti, invece, lo sguardo è sulla grande industria e sulla finanza. In chiaro, sui salotti buoni, quelli che contano. Una divergenza di obiettivi che può essere letta in diversi modi, ma che non lascerà indifferenti i leader del centrodestra, obbligati a una profonda analisi della situazione. Sempre che si possa parlare di veri leader, cioè di personalità forti, autorevoli, se non carismatiche che riescano a ricucire lo schieramento in una Regione che, da sola, vale il 22 per cento del Pil nazionale, e non intende piegarsi alle facili illusioni.

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