Moratti-Fontana, dietro alla sfida c’è di più

«Fossi in Fontana mi chiederei come mai una come Letizia Moratti si fa avanti: evidentemente perché ha capito che quella di Attilio non è ancora la candidatura decisiva». Parole di Ignazio La Russa, riportate da Valerio Valentini su “Il Foglio”, all’indomani del summit leghista con Salvini e Giorgetti per blindare la riconferma di Fontana in Lombardia. «Se una persona di così alto standing si propone, è perché crede che ci sia margine». Letizia Moratti non è una sprovveduta. È stata presidente della Rai, ministro dell’istruzione, sindaco di Milano, persino candidata dal centrodestra al Quirinale, non più tardi di cinque mesi fa. E non è certo una figura che si mette in gioco per fare la “numero 2”. O meglio, lo ha fatto, un anno e mezzo fa, nel momento di massima difficoltà della giunta Fontana, subissata (anche in modo esagerato, senza dubbio) dalle polemiche, dagli sberleffi e dalle inchieste giudiziarie per via della gestione della pandemia e della campagna vaccinale appena avviata. Probabilmente ora si aspetta di “mettere a reddito”, politicamente parlando, questo suo sacrificio. E allora ecco che si fa avanti per quella staffetta che solo dodici mesi fa sembrava scontata ma che oggi, al minimo cenno, sconquassa la coalizione che governa la Regione ininterrottamente dal 1995. Così la macchina del Fontana-bis ha improvvisamente impresso un’accelerata, e il centrodestra sotto al Pirellone sembra essersi ricompattato dietro al nome dell’ex “borgomastro” di Varese.

Il problema però non è Attilio Fontana. La sua ricandidatura per un mandato-bis a Palazzo Lombardia era ormai nell’aria da tempo, frenata solo dagli inevitabili parallelismi con la partita che si gioca in Sicilia, dove c’è un governatore uscente di Fratelli d’Italia, che probabilmente verrebbe rieletto in carrozza proprio come Fontana, ma che Forza Italia e Lega vorrebbero disarcionare. E la sua riconferma sicuramente ha i numeri, anche perché il “campo largo” del centrosinistra ancora non c’è, e tantomeno c’è un competitor da spendere, visto che quello più temibile, il sindaco di Milano Beppe Sala, non ha alcuna intenzione di giocare la partita.

La questione evidentemente è più grande della sfida in Lombardia, e riguarda il futuro del centrodestra. Che il “format” tradizionale della coalizione abbia qualche problema di tenuta (eufemismo), lo si è capito alle amministrative, dove sono arrivate sconfitte inattese e pesanti, Verona e Monza su tutte. Ma lo si era capito già lo scorso ottobre, quando nelle grandi città – Milano, Roma, Torino, Napoli e Bologna – non c’era stata proprio partita per il centrodestra. E non basta ripetere il mantra del “centrodestra unito che vince”, perché anche Varese ha dimostrato che può non essere sufficiente. Come stavolta Lodi e Monza. Non è un caso che Letizia Moratti abbia citato apertamente la necessità di «parlare a un elettorato più ampio». Che poi è sempre quello moderato, che l’attuale vicepresidente della Lombardia è convinta di poter rappresentare più efficacemente rispetto ad un esponente della Lega di Salvini, seppur dallo standing più “giorgettiano” come Fontana. Forte dell’endorsement di un anti-sovranista come il leader di Azione Carlo Calenda.

E allora l’impressione, al di là delle ambizioni personali, è che la partita per la presidenza della Lombardia sia il dito, ma un centrodestra che si rinnova e che si apre è la luna. Il passo avanti di Letizia Moratti verso una candidatura – «di centrodestra» ha sempre messo in chiaro – ha messo a nudo la contraddizione di una coalizione che rischia di arroccarsi su uno schema politico, quello costituito dall’asse Lega-Forza Italia-Fratelli d’Italia, che in Regione Lombardia probabilmente è ancora inscalfibile, ma che ormai è forse inadeguato per le sfide nazionali del dopo-Draghi. Come si chiuderà il “caso” a Palazzo Lombardia – quasi certamente con il bis di Attilio Fontana – ancora non si sa, ma la scelta, al di là del dilemma Fontana-Moratti, è tra limitarsi a riproporre la solita “minestra” sperando che basti, oppure cercare di essere un laboratorio politico che guarda al futuro sul modello Genova (o ancora andare a schiantarsi sul modello Verona).

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