La tragedia del Mottarone: non si parli di fatalità

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Un’altra tragedia, l’ennesima, altri lutti, nuovo sconcerto collettivo, reiterato dolore. L’incidente sulla funivia del Mottarone, una montagna piemontese che si affaccia sul lago Maggiore e guarda alla provincia di Varese, ripropone una domanda retorica, ma allo stesso tempo ineludibile: si poteva evitare? Ce la poniamo ogni volta che nel nostro Paese accade qualcosa di drammatico e di irreparabile, un ponte che crolla, un treno che deraglia, un’alluvione, uno smottamento, una nave che rischia di affondare e, appunto, una cabina di una funivia che precipita nel vuoto. Facile e comodo rifugiarsi nelle fatalità. Ma di fatale, di avverse circostanze, di dinamiche imprevedibili e impreviste è lastricata la nostra (in)coscienza. La verità è quasi sempre un’altra: le colpe sono degli uomini, della loro imperizia e, purtroppo, della loro sciatteria che si declina con l’incuria.

Non abbiamo contezza, né potremmo averne, di quali siano le reali cause della tragedia del Mottarone. Al massimo possiamo fare supposizioni, che già riempiono i resoconti dei tg e dei giornali. Come è sempre accaduto in simili eventi, con l’obiettivo di trovare subito un perché. Vogliamo e dobbiamo sapere, capire, se del caso, giustificare. Siamo a caccia di responsabilità, che forse conosceremo tra qualche anno, quando avranno sbocco – se lo avranno – le conseguenti inchieste della magistratura e degli enti preposti. Perché non è affatto scontato che si trovino chiare responsabilità. E quand’anche si trovassero potrebbero annacquarsi nel vortice delle perizie e dei processi.

Una cosa però la conosciamo già: la funivia che da Stresa arriva(va) alla cima della montagna dei Borromeo è rimasta ferma per un paio d’anni nella metà dello scorso decennio. Il motivo? Lavori di manutenzione e di ripristino conclusi nell’agosto di cinque anni fa. In altri termini, l’impianto avrebbe dovuto garantire sicurezza, quel minimo, anzi, quel massimo di sicurezza che i controlli periodici hanno l’obbligo di confermare e anche di più. E allora, non si parli per favore di fatalità. Si abbia il coraggio di andare oltre l’ovvio, per rispetto delle vittime, che su quella funivia cercavano spensieratezza, confortati dall’incomparabile scenario che si gode da lassù, e invece hanno trovato la morte. E che ora diventeranno occasione di polemiche, sfoghi, discussioni, scaricabarile, insomma, della solita buriana che si scatena attorno alle tragedie. Per qualche giorno, per poi placarsi. Fino alla prossima volta.

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