Lega, ma che bella giornata. E “un buon giorno per morire”

29 giugno, santi Pietro e Paolo. E san Matteo. Matteo Salvini e Matteo Bianchi. E’ il giorno della Lega. E dei due Matteo. Il primo, leader del Carroccio, ospite a Gallarate per “spingere” alle urne il primo cittadino uscente, Andrea Cassani. Il secondo, parlamentare di Morazzone, pronto a ottemperare alla richiesta di candidarsi a sindaco di Varese, togliendo il suo partito dall’imbarazzo e, ubbidendo, a contribuire a ricompattare il centrodestra. Insomma, una bella giornata, di quelle che dovrebbero rinnovare l’entusiasmo dei militanti e confermare una leadership di coalizione che i sondaggi stanno mettendo in forse, anche in provincia di Varese.

Scontato che la notizia della disponibilità di Bianchi ad assumersi l’onere della sfida elettorale nel capoluogo abbia dissolto tutte le preoccupazioni, montate giorno dopo giorno davanti ai niet di una serie di possibili, alcuni probabili altri improbabili, candidati. Il parlamentare aveva subordinato il suo sì ad alcune garanzie che soltanto Salvini gli avrebbe potuto dare. Colloquio chiarificatore in agenda a Gallarate, a margine del tour salviniano nella città di Cassani. I due però hanno giocato d’anticipo, risolvendo il rebus già in serata. Che la vicenda dovesse prendere uno sbocco positivo era plausibile: Bianchi si è messo a disposizione, ponendo in gioco, in caso di elezione a Palazzo Estense, lo scranno a Montecitorio, la sua carriera e lo stipendio. Spirito di servizio commendevole rispetto a certi arroccamenti, in difesa delle proprie rendite di posizione, di altri esponenti politici. Salvini gliene ha dato atto. Ma non poteva essere diversamente.

Così, come non poteva esimersi dall’endorsement per Cassani, giovane e arrembante sindaco che si ripropone alle urne con l’intenzione di fare manbassa di consensi fin dal primo turno. Dicono che Salvini straveda per lui. Cinque anni fa era già stato a Gallarate per sostenerlo. Ora c’è ritornato con alcuni mesi d’anticipo sulla data delle urne. Un caso? I maligni affermano che alla vigilia dell’udienza di Mensa dei poveri (8 luglio), nella quale Andrea Cassani potrebbe essere rinviato a giudizio seppure per un reato marginale rispetto alla sostanza delle accuse per la compagnia di giro implicata, il segretario leghista abbia inteso confermargli massima fiducia. Al punto che, stimolato sulla questione dell’immigrazione, Salvini ha ricordato: “… per questo vado a processo, tanto, processo più, processo meno…” ha detto battendo eloquentemente la mano sulla spalla del sindaco di Gallarate al suo fianco. Dettagli, non c’è dubbio. Benché la partita giudiziaria sia decisiva per la Lega promotrice dei referendum in proposito.

Un po’ meno marginale ci è parsa la frenata sulla realizzazione dell’ospedale unico tra Busto Arsizio e Gallarate. Quale significato dare alle parole di Salvini, che invoca cautela sul discusso progetto? Chi la sa lunga sostiene che sia stato informato male, che abbia equivocato le spiegazioni dello stesso Cassani. Altri, i corrosivi a prescindere, affermano che la presa di posizione sia voluta. Per quale motivo? Non si sa, né qualcuno, se fosse voluta, ce lo dirà mai. A meno che sia vero che, essendo la questione ospedaliera una patata bollente, si cerchi di tirarla in lungo, fin dopo le elezioni.

Restiamo alla bella giornata in chiave leghista. Forse un po’ meno bella per Matteo Bianchi, costretto obtorto collo a procedere come i gamberi: da parlamentare, con tutte le comodità politiche e personali del caso, alle rogne quotidiane di un sindaco (semmai venisse eletto). Una bella giornata ma, in senso metaforico, per dirla con la storica frase di Cavallo Pazzo, per qualcuno anche “un buon giorno per morire”.

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