La gallaratese Michela Grasso, a 22 anni la voce degli italiani fuggiti all’estero

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GALLARATE – «L’importante è che a parlare dei giovani siano i giovani». Parte da qui Michela Grasso, la 22 enne di Gallarate nota per la sua pagina Instagram da 229mila followers. Si tratta di Spaghettipolitics, un format per «raccontare la politica italiana agli stranieri». E provare a superare tutti gli stereotipi che condannano il Bel Paese. O almeno questo era l’obiettivo inziale. Obiettivi che poi hanno preso una piega internazionale, per approfondire anche i temi che riguardano la politica estera. Tutto questo è diventato l’assist ideale per fare luce sul mondo dei cervelli in fuga, di cui Michela fa parte da ormai quattro anni. Tra voglia di cercare fortuna altrove e la nostalgia che pungola per tornare a casa. Lo fa nel suo nuovo libro “Il futuro non può aspettare”, presentato oggi, 12 novembre, nella sede gallaratese di Auser. Il compito di mediare alla giornalista Sara Magnoli.

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Michela e Spaghettipolitics

Oggi Michela vive in Francia, in un paese di 3mila anime vicino a Bordeaux. Qui svolge il Servizio civile europeo, cercando di stabilire i prossimi passi per il futuro. Ma la sua esperienza fuori dai confini italiani comincia in Oregon, negli Usa, dove ha fatto il quarto anno di liceo – di stanza al Classico di Legnano – ospitata da una famiglia olandese. La sua esperienza americana l’ha portata a proseguire il suo percorso formativo nei Pesi Bassi, ad Amsterdam, dove si è di recente laureata in Scienze Politiche. È qui che è nato il progetto Spaghettipolitics: «Mi sono resa conto che i miei compagni di università avevano un’immagine dell’Italia e della sua politica molto stereotipata, allora ho deciso di aprire una pagina Instagram per raccontarla». Ma non aveva fatto i conti con i suoi followers, che nel frattempo crescevano a vista d’occhio. «Per il 90% erano – e sono – italiani, molti dei quali si dicevano disinformati della politica estera». Quindi, il cambio di passo: «Ho deciso di fare un misto e di concentrarmi anche su questo aspetto».

Italiani all’estero. In un libro

Fino a che non sono arrivate una serie di proposte di case editrici per raccontare la sua esperienza – e raccontarsi – in un libro. La scelta è ricaduta su DeAgostini e il risultato è ad ampio respiro. Si parla dell’italiano all’estero e viene studiato un percorso in tutti i suoi risvolti: il mondo del lavoro e dello studio, le difficoltà delle discriminazioni che colpiscono le minoranze e la volontà di «andare via con la rabbia» di fronte a un futuro incerto. Ma anche la nostalgia di guardare a casa e pensare di tornare un giorno, «se mai avrò delle garanzie e delle possibilità». Nel libro, questi temi vengono vissuti anche attraverso gli occhi di altri italiani che hanno preso la stessa decisione. Forse per gli stessi motivi, forse no. E ha raccolto le loro esperienze mettendole nero su bianco, per mostrare come un giovane italiano sia spinto a cercare un’occasione vera altrove.

Il microfono ai giovani

Perché scrivere un libro di giovani che scelgono l’estero? «Perché di solito ne sento parlare da persone di una certa età, nei salotti in tv. Persone che non sono mai state via e non sanno cosa significhi. Ma danno giudizi». Questioni sensibili, che spingono il neo diplomato di turno a scegliere la strada migliore per avere dei risultati. Ma anche le difficoltà che oggi sono, purtroppo, all’ordine di cronaca. Lo ha detto chiaramente, Michela: «Noi giovani cerchiamo comprensione e spazio. Voglio che il microfono passi a me e a chi è il diretto interessato. Si parla di razzismo? Ne discute una persona di colore. Si parla di disabilità? Lo fa chi veramente ci convive». Insomma, la parola spetti a chi può darle un significato reale. «In Italia c’è la smania dei politici di essere sempre al centro».

Il coraggio di chi resta

Molte le differenze che vengono percepite fuori dallo Stivale. «In Olanda non c’è questa necessità di andare via per avere delle opportunità. I giovani si spostano, certo. Ma per curiosità. Poi l’obiettivo è quello di tornare a casa». Ecco perché viene considerato «coraggioso» chi decide di tornare in Italia, «perché molti sperano di poter cambiare le cose». O chi proprio decide di restare, ma di provare a dare una svolta a un sistema inceppato dal suo interno.

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