Sozzani salvato dalla Camera. A Caianiello disse: «Mi inginocchio per 3 lire»

gallarate diego sozzani

GALLARATE – Negati dalla Camera gli arresti per Diego Sozzani,  a sorpresa e a voto segreto. L’Aula di Montecitorio ha detto no gli arresti domiciliari per il deputato azzurro chiesti dalla Dda di Milano lo scorso 3 settembre, giorno in cui l’interrogatorio di Nino Caianiello, il plenipotenziario di Forza Italia in provincia di Varese, considerato dagli inquirenti cerniera di un presunto sistema di tangenti tra Milano e Varese, prendeva sostanza: il mullah iniziava a parlare sul serio con i pm.

Mi inginocchio per tre lire

Il voto di mercoledì 18 settembre a Montecitorio sovverte diametralmente quello della Giunta per le Autorizzazioni a procedere che, lo scorso 31 luglio, aveva deciso, con il Pd e M5s favorevoli, di concedere la misura cautelare nei confronti del deputato forzista, chiesta nell’ambito di un procedimento per finanziamento illecito relativo ad una fattura di diecimila euro. «Io sto cercando i soldi perché è fatica, credimi! Quindici anni fa qualcuno veniva di sua sponte da me, a dirmi ‘se entri in quel partito, che posso fare?’. Adesso non si può più mettere le mani, mi inginocchio per chiedere tre lire! Tremila, cinquemila, diecimila, quando ne avevo bisogno centomila». Così Sozzani parlava in una conversazione intercettata il 12 aprile scorso con il gallaratese Caianiello, presunto ‘burattinaio’ del sistema di tangenti e appalti truccati svelato dalla Dda milanese lo scorso 7 maggio, lamentandosi «delle difficoltà», riassumono i pm, che stava «incontrando nel reperire i ‘soldi’ utili alla campagna elettorale».

«Il primo stipendio… fa un omaggio alla Madonna... cioè anche i santi bisogna rispettarli, eh!». E’ così, come un “omaggio alla Madonna”, che Caianiello definisce, stando agli inquirenti, i soldi della prima retribuzione che una persona, nominata grazie a lui in una società pubblica, doveva corrispondergli come “retrocessione”, nell’intercettazione ambientale del 12 aprile scorso, registrata mentre il parlamentare e il presunto “grande manovratore” del sistema erano al ristorante ‘da Berti’ a Milano, la cosiddetta Mensa dei poveri che ha dato il nome all’inchiesta. Caianiello chiede a Sozzani: «Ma il nostro uomo a L’Avana è scomparso?», riferendosi, come si legge, a Mauro Tolbar, presunto collettore delle mazzette. E sempre Caianiello parla «della turbativa attuata al fine di far assumere Alexandre Henri Bonini quale capo impianto di Accam spa», società pubblica bustocca. Per i pm, infatti, Caianiello attende il versamento di una tangente da parte di Bonini «per l’incarico ricevuto», una vicenda della quale dovrebbe occuparsi sempre Tolbar.

E’ a questo punto che Caianiello, come si legge negli atti, definisce la “retrocessione” che gli deve arrivare come “l’omaggio alla Madonna”. In particolare, Caianiello deve avere il primo stipendio percepito da Bonini, stando all’inchiesta. Al che replica Sozzani: «Certo! Perché se no di miracoli non ne fanno più!». Gli inquirenti individuano, inoltre, nelle intercettazioni diverse “operazioni illecite” come gli “incarichi affidati” allo studio dei fratelli Sozzani dalle società in house Accam e Alfa srl con accordi che, secondo la Dda, prevedrebbero, poi, la “retrocessione” di parte dei compensi a Caianiello, cioè le cosiddette “decime”.

Franchi tiratori nella  maggioranza

Da sottolineare che il no alla misura cautelare è scaturito da una votazione contrastata all’interno della stessa maggioranza giallorossa, con alcuni deputati, presumibilmente del Pd, che hanno votato per negare gli arresti a Sozzani. Una decione, la loro, che ha suscitato polemiche e malumori con gli alleati dei Cinque Stelle.

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