Gli ammalati sono tutti uguali

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C’è una domanda che ci stiamo ponendo tutti: quando finirà l’emergenza coronavirus? Si tratta di un quesito scontato, eppure così pressante. Al quale non sanno rispondere con compiutezza nemmeno gli esperti. E, quando rispondono, offrono prospettive a medio e lungo termine. Ci siamo dentro, con l’ansia che aumenta di giorno in giorno, il senso di smarrimento e la sensazione di impotenza che finiscono per toglierci il sonno. Esageriamo? Vorremmo tanto esagerare rispetto a scenari che sembrano usciti da un film catastrofico: se esagerassimo significherebbe che la realtà non è quella che ciascuno di noi constata ad ogni “bollettino di guerra” sul numero dei contagi e, purtroppo, dei morti.

Eppure, nonostante tutto, non perdiamo la speranza. I flash mob ai balconi, l’inno italiano cantato a squarciagola nello stesso momento da tutti, i concerti via internet, la solidarietà che si esprime in mille modi sono il segnale di una primavera che si intravede. Anche se non sarà la classica data del 21 marzo a ufficializzarne l’arrivo. Anche se ci toccherà aspettare un giorno o un periodo che nessuno ci sa ancora indicare con certezza. E che non sembrano essere dietro l’angolo.

Nel frattempo la stagione dell’emergenza è il comune denominatore del Paese. Un’emergenza in primo luogo sanitaria, che rischia di mandare in affanno definitivo gli ospedali e il personale medico e infermieristico, al quale siamo tutti grati, e anche di più, per lo sforzo immane nel curare persone e salvare vite umane. Il coronavirus è il padrone assoluto della sanità. Al punto che è la sola malattia di cui si parla, ma non potrebbe essere diversamente, si capisce. Detto questo, però, non sono scomparse le altre patologie, le meno importanti come le più gravi. I presidi ospedalieri sono concentrati a combattere il Covid-19, molti ambulatori sono chiusi, gli stessi medici di base tengono a distanza i pazienti per il pericolo del contagio, le operazioni chirurgiche programmate sono state rinviate, ai pronto soccorso ci si rivolge molto meno rispetto a un periodo di normalità. Ma ci si ammala come prima, al di là del coronavirus.

Qual è dunque il livello di assistenza per tutti gli altri che non sono attaccati dal morbo? Il sistema sanitario lombardo per ora regge, a fatica ma regge. Impostato con criteri di efficienza e funzionalità è gestito con grande attenzione da Palazzo Lombardia, a cominciare dal presidente Attilio Fontana fino all’assessore al Welfare Giulio Gallera, da settimane in prima linea, senza sosta. L’esecutivo lombardo ha attuato la riorganizzazione della geografia sanitaria regionale a tempo di record, cercando di garantire assistenza a tutto campo. Cioè, ad esempio, chi per malaugurata sorte dovesse essere colpito da un infarto non sarà (non dovrebbe essere) lasciato solo per privilegiare le persone contagiate dal virus. Alle quali in questo momento è necessario garantire il massimo impegno, benché gli ammalati siano tutti uguali.

E’ però inevitabile che i modelli assistenziali, comprese alcune eccellenze, subiscano il contraccolpo generato dall’epidemia di Covid-19. Accanto ai modelli di cura vanno messe le strutture, in molti casi depotenziate nel recente passato a causa dei tagli alla sanità operati dal governo centrale. Le conseguenze le ha subite anche il sistema sanitario lombardo, che sta facendo i salti mortali per trovare nuovi posti letto alle terapie intensive. Questo, in Lombardia e al Nord del Paese. Ma che cosa accadrebbe se il maledetto virus prendesse d’imperio la strada delle regioni meridionali, di alcune in particolare, per esplodere in tutta la sua devastante potenza? Davvero, senza infingimenti, c’è da sperare che arrivi al più presto la primavera.

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