L’arrivo di Ibrahimovic è dal punto di vista del marketing e dell’appeal generale una grande conquista per tutto il campionato italiano. Ma è anche un grande valore aggiunto dal punto di vista tecnico? È un innesto importante per il progetto tecnico del Milan? Non lo so. Il campione non si discute per niente. Conoscendo l’ego del campione svedese, se ha deciso di tornare in Italia è per dimostrare che è ancora un top. Non viene di certo per svernare o vivacchiare. Chi pensa che verrà a fare da balia ai più giovani ha capito poco o nulla della personalità del fuoriclasse di Malmoe. Ibra è pienamente convinto di essere decisivo. Ancora oggi. Lo scandinavo, è bene rimarcarlo, tuttavia ha superato i 38 anni. Per due stagioni intere si è confrontato con avversari modesti, in un campionato dai ritmi molto più blandi. Se il Re Vichingo ritiene di essere pronto gli si deve dare credito, ma è anche vero che spesso questi grandissimi campioni, difficilmente si arrendono all’idea di dover riporre a un certo punto di carriera gli scarpini in un armadietto. Troppo grande l’idea di sé stessi, la voglia di proseguire dando per scontato che l’elisir di lunga vita inondi sempre il loro serbatoio. È scontato riattaccare la spina delle motivazioni dopo aver giocato per due anni in un’altra dimensione dove il consumo di energie psicofisiche è certamente ridotto rispetto alla più competitiva Europa? Forse no. Altro mondo, altro calcio, altro sperpero di forze fisiche e mentali. L’idea di abbassare il sipario di fronte a carriere luccicanti è complicata. Non ci si arrende al tempo che scorre, alle generazioni che si avvicendano. E si rischia concretamente di sbagliare per colpa di un ego che stordisce e offusca la mente anche quando ci si trova nella testa di un cyborg. E il Milan? Se l’idea è quella di rilanciare il club nell’immediato forse è una carta che vale la pena di giocare. Un obiettivo è stato raggiunto: risollevare animo ed entusiasmo di una tifoseria umiliata dopo i recenti deludenti risultati. Si dà quantomeno la sensazione di non restare con le mani in mano, ma si piuttosto all’esterno si segnala il tentativo di ribellarsi al destino di grigiore nel quale ci si è proiettati, finendo per esservi risucchiati. Si accende una speranza in chi si affida all’immagine del vecchio campione che però poi sul campo dovrà rispolverare anche i colpi che furono, altrimenti tutto risulterà inutile. E il Milan? La società con questa mossa non sembra avere una strategia chiara. Se avesse creduto per davvero in un certo tipo di progetto, sbandierato in estate, avrebbe dovuto insistere pescando talenti in giro per l’Europa anche a rischio di buttare via una stagione ormai già compromessa. Senza farsi incantare dalla suggestione del grande campione sulla via del tramonto. In questo non c’è grande chiarezza. Meglio, forse, puntare su nuovi Theo Hernandez che non su vecchi fantasmi che riemergono dal passato. Se invece il progetto è cambiato, ben vengano gli Ibrahimovic e gli altri ultra 35enni che qualcosa nel mondo del calcio hanno già raccontato. Dipende dall’idea della società, ma su questo bisogna essere chiari, avendo la forza di correre sullo stesso sentiero evitando poi però di deragliare alle prime difficoltà, anche gravi.

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