Il 25 Aprile, gli afascisti e il “Varesotto nero” de La7

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Siamo alle solite. Il 25 Aprile accende polemiche e reazioni contrastanti sul suo significato a 79 anni dal giorno in cui il Paese si liberò dal nazifascismo. Momento storico che ancora oggi divide, a dispetto di quella memoria condivisa spesso invocata e mai coltivata. C’è da domandarsi quando mai usciremo da questa situazione sospesa, tra la necessità della pacificazione e le divisioni ideologiche e non solo che dominano la ricorrenza e le celebrazioni istituzionali e politiche di quella giornata.

A complicare il quadro di riferimento interviene un vocabolo che sino a qualche tempo fa non s’era mai sentito: afascismo. Una categoria di pensiero che ricorre soltanto a destra, quella più conservatrice e, più o meno consapevolmente, quella che rimane indulgente verso il ventennio dittatoriale. Per dirla in un altro modo, è afascista chi sostiene che certi valori erano importanti, ma il 1945 ha chiuso tutto. E anche per questo, forse, non si dichiara antifascista. E’ il tema del giorno, che eventi come la censura Rai allo scrittore Antonio Scurati riportano in primo piano, con tutto il loro strascico di tensioni. E di preoccupazioni.

Essere afascista è comodo, ci si ripara nella terra grigia dell’essere senza esserlo, non si nega né ci si schiera. Comodo soprattutto per una certa politica che riconosce le proprie radici nel post-fascismo del primo Dopoguerra, cioè nel partito di Giorgio Almirante, e lascia sullo sfondo la svolta di Fiuggi; così non delude quella parte del proprio elettorato che non disdegna la camicia nera e il saluto romano. Una minoranza che non va sottovalutata, ma nemmeno da giudicare pericolosa al punto che, cavalcando derive autoritarie, ci faccia ripiombare in un regime. Per fortuna, ci sostiene la Costituzione, che ruota attorno ai saldi principi dell’antifascismo. Ci aiutano gli anticorpi democratici che arrivano dritti dritti dalla Resistenza, dall’azione di popolo che, appunto 79 anni fa, generò un’Italia nuova, finalmente democratica e libera.

Vero, mai abbassare l’attenzione sui rigurgiti dell’autoritarismo, ma nemmeno esasperarli. Come è accaduto lunedì sera con l’inchiesta de La7 intitolata “Lago nero”, che ha disegnato una provincia di Varese a derivazione fascista, addirittura nazifascista, con opacità note su questo versante, però da circoscrivere e perse addirittura nel passato. Tutto vero? Sì, ma è una verità da contestualizzare  e capire. Il Varesotto è ben altro rispetto a quanto raccontato in Tv. E’ la medaglia di bronzo alla Resistenza della città di Busto Arsizio, sono le vicende partigiane e le sincere testimonianze della lotta per la libertà che ritroviamo nei racconti dei protagonisti di allora.

Anche qui, in provincia di Varese, le democratiche elezioni hanno dato legittimamente spazio agli afascisti, che non si possono associare ai gruppuscoli che si richiamano all’esoterismo nazista. Una presenza che non è affatto endemica, che rischia di degenerare: credere che lo possa diventare è esagerato. Lo capiremo proprio il 25 Aprile, quando nelle città e nei paesi si celebrerà la Liberazione, al di là delle camicie nere che spingono ai margini della società, che sono una minoranza, che non fanno, che non devono far paura. Nonostante i sospetti seminati da un’inchiesta televisiva che non ha reso un buon servizio all’immagine di un intero territorio e dei suoi abitanti.

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