Il campione in redazione: Francesco Moser racconta il ciclismo di ieri e di oggi

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L'editore di Malpensa24 Fabrizio Iseni e Francesco Moser

LONATE POZZOLO – Va ancora in bicicletta, «anche se in inverno preferisco sciare, percorro quasi 5 mila chilometri all’anno». Segue sempre il ciclismo, «ma oggi in gara manca la fantasia o la poesia che dir si voglia. I corridori in gara sanno tutto di tutti e sono “telecomandati”». Parola di Francesco Moser, un Giro d’Italia vinto, un Campionato del Mondo in bacheca e un Record dell’ora a Città del Messico che l’ha consegnato direttamente alla storia. Il campione oggi pomeriggio, lunedì 2 dicembre, è stato ospite della redazione di Malpensa 24, ricevuto dall’editore Fabrizio Iseni, grande appassionato di ciclismo e sponsor della Federazione ciclistica italiana e dal direttore Vincenzo Coronetti.

Classe 1951, Moser da quando ha smesso di correre è tornato da dove è partito, nell’azienda agricola e vitivinicola fondata dal padre Ignazio in Val di Cembra: «Quella è stata la mia prima vera palestra. Andavo nei campi già quand’ero bambino. Ho iniziato a correre quando avevo 18 anni, ma possiamo dire che io sono nato in salita», racconta parlando del suo passato da campione e dei suoi vigneti, che gli stanno regalando altrettante soddisfazioni: «I nostri vini – spiega – hanno ottenuto diversi riconoscimenti e premi».

Per Francesco Moser il ciclismo oggi resta una passione da praticare «con il senso della misura. Certo che vado ancora in bicicletta e mi capita di fare lo Stelvio e il Gavia. Ma spesso uso quella elettrica. Creando stupore in chi mi riconosce. Ma è giusto così, perché in bici di fatica ne ho fatta tanta e poi bisogna ascoltare il proprio fisico».

Tutto è cambiato

Moser in sella si è tolto tutte le soddisfazioni che può immaginare un corridore a inizio carriera: il Giro, il Campionato del Mondo, le grandi classiche e i record. Ha vinto tutto (o quasi) quello che c’era da vincere. E ora guarda quello che è stato il suo sport con disincanto e riassume in una frase quanto è cambiato: «Sulla mia prima bici c’erano 5 rapporti, oggi ce ne sono 11. Tutto un altro pedalare». Altri tempi davvero. Lo dice anche Moser che ricorda come «nessuno andava più in bicicletta quando ho cominciato. Nemmeno per passeggiare. Il mezzo più diffuso era la macchina, tanto che si pensava che le due ruote dovessero quasi sparire». E invece no. Grazie anche alle sue vittorie, al dualismo con Beppe Saronni, che ricorda quello epico tra Coppi e Bartali, il ciclismo in Italia riconquista numeri importanti: «Diventiamo il Paese con  il maggior numero di squadre, di corridori e anche di gare ciclistiche organizzate. Ma anche in questo caso le cose ora sono molto cambiate. Non c’è una squadra italiana tra quelle del World Tour e con questa sistema, al prossimo Giro d’Italia, si rischia di avere in gara tutti team stranieri». Con i corridori però siamo messi meglio: «Per fortuna ne abbiamo», continua Moser citando Nibali, Aru e Viviani. «Ma per correre devono andare all’estero. Il ciclismo rispecchia un po’ quello che è l’Italia oggi, un Paese dove è difficile fare investimenti. E questo lo vediamo nel mondo dello sport come in quello delle aziende».

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