Il male, il medico e la “paziente” sopportazione del male

caffè pellerin

di Ivanoe Pellerin*

Nel drammatico film del 2001 “Wit” di Mike Nicols, che ha ricevuto numerosi riconoscimenti ma che non ha avuto molta diffusione, una grande Emma Thompson interpreta Vivian Bearing, una docente della poesia inglese del XVII° sec. specializzata in particolare su John Donne e la sua poetica sulla morte. Scopre di essere gravemente ammalata di cancro e viene coinvolta nel circuito medico di una sperimentazione feroce da un “eminente” oncologo il prof. Harvey Kelekian, interpretato con sapienza e perfidia da Christopher Lloyd. Tutte le caratteristiche di una medicina arrogante e disumanizzata sono ben rappresentate. Se credete nel paternalismo, nella chemioterapia estrema, nella sfida sadica che un “grande” medico riesce a lanciare, nell’aridità di un ambiente sanitario allucinato dalle sperimentazioni, questo è il vostro film.

È una storia dura che coinvolge ed affascina per la sua crudezza ed essenzialità e da una parte mostra la stoltezza del mondo che vuole negare la morte e dall’altra mostra come la poesia, arte che apre ad un’altra metrica rispetto alla matematica del quotidiano, ad un’altra dimensione più quieta, confortevole ed accogliente, permetta alla protagonista Vivian di vedere ciò che di solito non si vede. Permette a Vivian di intercettare una virgola che separa due grandi elementi della vita, la possibilità dell’affermazione di sé anche in momenti estremi e il “semplice” affidamento all’amore come spiegazione a ciò che non può trovare alcuna spiegazione né nella scienza né nel sapere dell’uomo. Dunque solo una virgola, tra la vita e la morte, solo la poesia dell’anima sarà il lasciapassare di Vivian per affrontare i drammatici momenti della fine della vita.

Intorno a questo tema, non è fuori luogo proporre alcune riflessioni. Concepisco le virtù del paziente non solo come la “paziente” sopportazione del male, ma come la consapevolezza, il coraggio e l’impegno a vivere la vita fino all’ultimo respiro. Queste virtù solo apparentemente appartengono in esclusiva al paziente ma devono essere vive e vitali anche per il medico che accompagna appunto o che dovrebbe accompagnare con consapevolezza, coraggio, impegno e con rispetto la vita residua del paziente fino all’ultimo respiro.

Il teologo tedesco Hans Kung, non molto in sintonia con le autorità ecclesiastiche di Roma, scrive: “Siamo esseri finiti… Colui che non rimanda il rapporto con la propria morte alla sua “ultima ora” ma si esercita con essa nel corso della sua esistenza, ha una diversa disposizione di fondo nei confronti della vita.”

Io credo fortemente che nel medico abilità, esperienza e saggezza si debbano combinare con empatia, integrità e umanità, ed ogni azione debba avvenire nell’interesse del paziente e della società, adattandosi al mutare di questa. Ma noi sappiamo bene che non sempre queste ottime qualità ideali si trovano così espresse nella realtà. Il medico deve agire certamente secondo coscienza e secondo scienza, cioè secondo quei criteri di condotta che si basano sullo standard ritenuto valido dalla comunità medico-scientifica.  E a questo proposito è noto che per molti medici non è soddisfacente né chiaro il riferimento allo standard della comunità scientifica.

Sottolineo che il medico non è un mero esecutore delle richieste del paziente, nemmeno nei casi drammatici ed angoscianti della fine della vita. È una persona che possiede legittime posizioni morali (e che quindi può obiettare per ragioni etiche individuali per es. ad una richiesta di eutanasia) ed è un professionista che non solo è ovviamente tenuto a rispettare i vincoli della legge ma anche che non è disponibile a convalidare o attuare, dietro compenso, pratiche magiche o da ciarlatano che siano prive della dovuta verifica sperimentale.

​Ricordate il caso Di Bella? Ricordate quelle trasmissioni di Porta a Porta dove i soloni dell’oncologia di allora non riuscirono a dare una ragionevole risposta alle domande degli inguaribili? A seguito di quella dolorosissima vicenda l’allora Ministro della Sanità Bindi diede operatività ad una commissione ministeriale. Nacque in Italia la prima legge quadro sulle Cure Palliative ma fu un drammatico percorso di sofferenza per moltissimi malati di cancro che cedettero ad un sogno di guarigione.

Non sarebbe più consolatorio sapere che per ognuno di noi esistono medici che, deposto il camice bianco, la sera si fermano a parlare con le persone (con i pazienti), discutono i loro progetti, si lasciano andare ad un amichevole “Lei cosa vuole fare?” e alla fine valutano con la persona, in relazione alla loro lunga esperienza con il morente e alle reali possibilità di cura attiva, che cosa sia ragionevole per lui/lei oggi o domani, per lui/lei e per i suoi parenti, nel cui rispetto egli o ella desidera restare come un soggetto dotato di autonomia e non come un essere privato della sua dignità, consunto e sfigurato?
Per citare ancora Kung, “… il pensiero che siamo finiti e che poter morire è parte integrante della dignità dell’uomo, insieme con il principio secondo cui ogni uomo ha il diritto a non soffrire, diventerebbero la regola di vita di una società che conferisce di nuovo all’homo humanus la dignità di una  regula omnium viventium”.

*già direttore dell’Unità Operativa Complessa di Cure Palliative e Terapia del Dolore dell’ospedale di Legnano

 

Male medico pellerin – MALPENSA24

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