Il pezzo di carta, lo studio e la pratica

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Ivanoe Pellerin

di Ivanoe Pellerin*

Cari amici vicini e lontani, i nostri vecchi affermavano che il “pezzo di carta” era il biglietto da  visita per il lavoro, diceva di te chi eri, da dove venivi, per cosa ti eri preparato, dove volevi andare. Certo! Dietro c’era tutta la fatica dello studio, delle notti insonni, della ricerca degli appunti, dell’ansia degli esami ed anche, nondimeno, della difficoltà della famiglia che, sul pezzo di carta, aveva investito come riscatto sociale, come affermazione di un buon/ottimo futuro, come rivincita  sulle sfortune. Insomma, amici miei, il valore del “pezzo di carta” non sarebbe mai venuto meno.

Ma oggi è ancora davvero così? A me non pare proprio. A me pare che si stia diffondendo una certa resistenza alla cultura e ai saperi, come se il bagaglio intellettuale che dovrebbe essere il passaporto per un buon lavoro, per una buona vita non sia più la competenza o la specializzazione ma esattamente il contrario. Di più. Pare si stia affermando una specie di avversione al titolo che viene visto come se fosse una tessera di un club elitario, un odiato simbolo di privilegio e di esclusione sociale e non uno strumento di conoscenza raggiunto con anni di studio, di applicazione e di tanti sacrifici.

Credo che su questo possiamo concordare: la scienza non è democratica. Se un avvocato ed io  siamo uguali di fronte alla legge, abbiamo gli stessi diritti e doveri e il nostro voto ha lo stesso peso politico, non credo vi affidereste a lui per un qualsiasi intervento chirurgico per qualsiasi motivo. Se foste di fronte alla scelta sempre del solito chirurgo per un intervento diciamo di “lieve entità” scegliereste un medico approssimativo che lo esegue 10 volte all’anno o quello che lo realizza 100 volte all’anno, che ha studiato e che svolge ricerche sull’argomento? Contrariamente a ciò che molti credono uno non è uguale a uno.
Ma dove ho già sentito questa cosa? La Società Italiana dei Fisioterapisti è insorta poiché c’è un comma nella legge di bilancio approvata alla Camera che allargherebbe la possibilità di operare in professioni infermieristiche e riabilitative, tecnico sanitarie, di ostetricia, di prevenzione, senza possedere un adeguato titolo di studio abilitante l’iscrizione a quell’albo professionale.

A ben vedere la norma prevista dal comma 283 bis e seguenti del maxiemendamento approvato per la legge di Bilancio 2019 non riguarda infermieri, infermieri pediatrici, ostetriche, tecnici di radiologia medica e assistenti sanitari, ma solo le professioni sanitarie non regolamentate iscritte al multi albo dei tecnici di radiologia medica e delle professioni sanitarie, tecniche e della riabilitazione, che la legge 3/2018 ha conglobato e che finora non avevano Albi.

Leggendo attentamente il comma in questione, si capisce che “coloro che svolgono o abbiano svolto un’attività professionale in regime di lavoro dipendente o autonomo, per un periodo minimo di 36  mesi, anche non continuativi, negli ultimi dieci anni possono continuare a svolgere le attività  professionali previste dal profilo della professione sanitaria di riferimento, purché si iscrivano, entro il 31 dicembre 2019, negli elenchi speciali ad esaurimento istituiti presso gli Ordini dei tecnici sanitari di radiologia medica e delle professioni sanitarie tecniche, della riabilitazione e della prevenzione” e non riguarda altre professioni debitamente regolamentate.

Se così non fosse, poiché presso le strutture sanitarie pubbliche, private accreditate e private, sono impiegati operatori che non sono in possesso del titolo idoneo per l’esercizio delle attività sanitarie riservate alle Professioni Sanitarie secondo la legge 43/2006 e non possono iscriversi al rispettivo albo professionale, si configurerebbe un esercizio abusivo della professione. Non solo, ma le stesse strutture sanitarie, presso cui operano, si troverebbero nella situazione di dover licenziare o collocare in altro ambito lavorativo i predetti lavoratori, con conseguenze negative anche sull’organizzazione dei servizi sanitari.

Il punto dolente è questo: quale titolo verrà considerato adeguato e come si farà a dimostrare di aver esercitato la professione per 36 mesi anche in modo non continuativo negli ultimi 10 anni? Mentre la Federazione Nazionale degli Ordini degli Infermieri si dichiara del tutto estranea alla norma, mette in guardia da facili sanatorie.

Arrivati qui il garbuglio sembrerebbe facilmente risolvibile. Ma in questa epoca anti élite dove tutto sembra possibile e lo vediamo in ogni dove, la domanda che mi faccio e che faccio a voi è la seguente: le competenze acquisite con lo studio continuano ad avere un valore o possono essere sostituite da una pratica più o meno lunga?

*già direttore dell’Unità Operativa Complessa di Cure Palliative e Terapia del Dolore dell’ospedale di Legnano

 

Pellerin competenze studio – MALPENSA24