Il Pinti scrittore presenta il suo romanzo d’esordio: in libreria “Il periodo ipotetico”

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«Non è un pesce d’Aprile», dice (lui) scherzando sulla data scelta per la pubblicazione. E di ipotetico, dopo quasi cinque di anni di lavoro di stesura e cesello delle parole, c’è solo il “periodo” del titolo. E’ disponibile da oggi, 1 aprile, anche in formato ebook (www.edizionieffetto.it) oltre che sui principali canali di distribuzione online, “Il periodo ipotetico”, il romanzo d’esordio di Marco Pinti.

Volto noto nel mondo della politica, il suo impegno risale ai tempi del liceo e continua ancora oggi. Conosciuta anche la sua voce per la conduzione di trasmissioni radiofoniche. Marco Pinti, nelle 576 pagine del libro pubblicato da Edizione Effetto, tira fuori la parte meno pubblica dei suoi poliedrici interessi per accompagnare il lettore (si legge in maniera emblematica nella sinossi di presentazione del volume), con una sinfonia picaresca, sul baratro a strapiombo sul caos. Senza l’ausilio di google map. Ma attraverso una scrittura fraterna, ironica, mai giudicante.

Marco Pinti, Come nasce questa storia?
«Ricordo distintamente una sensazione di scontento. Avevo appena finito di leggere due romanzi della scuola francese: “Sottomissione”, di Michel Houellebecq e “Guerriglia” di Laurent Obertone. Entrambi raccontano il crollo del loro Paese lungo la linea di frattura segnata dal fallimento della società multiculturale. Una traiettoria audace, irresistibile per magnetismo. Tuttavia, al termine della lettura, mi avevano lasciato addosso l’ombra di un’amarezza, come se mancasse qualcosa».

Che cosa?
«Dev’essere una specie di maledizione dei nostri tempi: più una narrazione si avvicina alla politica, più i personaggi regrediscono a macchiette moralistiche oppure a predicatori nel deserto. Ecco, io di stereotipi ero stufo. Di prediche, pure. Non mi rassegnavo all’idea che per raccontare la vita si dovesse sacrificare la dimensione politica e viceversa».

Quindi?
«Quindi ho cercato di modellare una storia che colmasse un’esigenza di verità. Volevo che ad attraversare la catastrofe fossero uomini e donne capaci di restituire al lettore qualcosa del mistero, dell’enigma che siamo l’uno per l’altro».

Partiamo dallo scenario generale.
«Una rivolta delle banlieue trascina la Francia nella guerra civile. Il contraccolpo per l’Italia è irrimediabile: travolge banche e multinazionali, schianta i rifornimenti energetici, provoca ondate di profughi, tensioni sociali, fanatismi, violenza».

Non crede che questo scenario possa spaventare, alla luce del periodo – non ipotetico – che stiamo vivendo?
«Quando ho iniziato a scrivere, nel settembre 2017, ciò a cui assistiamo oggi era impensabile. Ma se da una parte la catastrofe che ho tratteggiato è molto diversa da quella attuale, è altrettanto vero che ne condivide la tempra. Echeggia lo stesso senso di smarrimento che incombe sul nostro presente, per non parlare del futuro. Siamo al buio, inutile negarlo. Tuttavia, come autore posso dire di aver sperimentato quanto l’immaginazione possa rivelarsi uno strumento preziosissimo per illuminare le nostre paure. Vale per la vita di ognuno di noi come per gli scenari collettivi. Più una circostanza è scandagliata dai libri, meno potere riesce a produrre su di noi. In fondo, ogni romanzo è una mappa di qualcosa».

Che tipo di mappa è “il Periodo ipotetico”?
«Tanti sentieri, poco asfalto. Qualche sterrata, di tanto in tanto, per riprendere fiato. Spazi aperti, orizzonti vasti. Precipizi. E un fiume che scorre, la trama: dal letto ampio, ora placido, ora gorgogliante. Lungo il percorso i segnavia sono ben evidenti, ma nessuna direzione è obbligata. Al lettore trovare la propria strada».

L’immaginazione è utilissima per illuminare le nostre paure

A proposito di segnavia, accenniamo qualcosa di più riguardo ai personaggi. In ordine di apparizione, Valentina e Chiara.
«Due amiche. Valentina è la tipica ragazza che un giudizio superficiale potrebbe bollare come “stupida”, giusto per usare una delle tante parole di cui ci accontentiamo. In realtà, la sua è semplicemente un’indole gregaria, alla perenne ricerca di conferme e troppo timorosa per non affidarsi all’arbitrio della persona più vicina. In primis di Chiara che, al contrario, è una creatura dominante. La sua è una forza che affiora dall’oscurità. Una fierezza inquieta, rabbiosa, sigillata da qualche parte nel pozzo di un rancore. Entrambe finiranno risucchiate dalla malaugurata circostanza di ritrovarsi in Corsica, negli stessi giorni in cui l’isola approfitterà del caos per insorgere contro Parigi».

Dalla Corsica a Fornovo di Taro, alle pendici dell’Appennino, dove incontriamo Giacomo e Francesca.

«Fratello e sorella sulla soglia della trentina, in bilico tra i relitti dell’adolescenza e i primi scampoli di maturità. Da bravi emiliani rappresentano un modo di essere “di sinistra” che ha perso molto dei suoi contenuti, ma è sopravvissuto in una certa frequenza del pensiero. Una sorta di esitazione nel guardare al mondo. Una ricerca di pulizia, nel giudicarlo. A cui si aggiunge, a tratti, il limite della presunzione. Ma quello che conta davvero, anche qui, è altrove. Insieme restituiscono al lettore il miraggio di come, qualche rara volta, il rapporto tra fratello e sorella possa funzionare: soprattutto quando c’è uno dei due che fugge e l’altro che insegue. Il movimento che disegnano lungo tutto il romanzo è una costante oscillazione tra litigi, ricomposizioni, scherzi, confidenze, dove il privato e il politico si intrecciano fino a confondersi in un groviglio inestricabile».

Infine, il terzo gruppo di personaggi: Ettore, Gabo, Konstantina.
«Ettore è un deputato del Nodo, un partito di centrodestra. Quarantenne, sposato con Matilde, ha una figlia di 5 anni di nome Luce. Testimone privilegiato dello sgretolamento, con lui ho cercato di far coesistere la nausea di chi galleggia nell’inerzia delle istituzioni e la normalità di un uomo che cerca di vivere la sua vita. Il fatto che sia un addetto ai lavori della politica non lo caratterizza più che se fosse un professionista qualsiasi: un architetto, un idraulico, un agente di commercio. Anche l’appartenenza alla destra non è che un modo per indicare qualcosa di affine al buonsenso. Forse ragiona in modo semplicistico, barbarico, ma di certo non è uno straccio imbevuto di pregiudizi. In questo senso non stupisce, o almeno non dovrebbe stupire, la sua amicizia di vecchia data con Gabo che, al contrario, è un anarcoide da centro sociale. Tuttavia, se questo piano narrativo è riuscito lo si deve soprattutto alla terza figura che si è insinuata nel gioco degli opposti: Konstantina, la fidanzata greca di Gabo. Un’intelligenza schietta, popolare, priva di sovrastrutture, capace di ricondurre tutto nella giusta misura. Più delle parole, più dei pensieri, dei gesti, a guidarla è l’immediatezza del suo istinto, l’astuzia di chi sa maneggiare qualsiasi circostanza».

Che rapporto c’è tra i diversi piani narrativi?
«Al di là di ciò che accade nella trama, credo che ognuno dei protagonisti abbia la funzione di presidiare il proprio cielo. Un cielo ciascuno, dei sette di cui parlano le Scritture. Alcuni lo artigliano, altri tentano di conquistarlo, c’è chi lo accarezza, chi lo attraversa, chi rischia di precipitare, ma tutti condividono la stessa necessità di assomigliare a se stessi. Inutile dire che, in tempi di catastrofe e intruppamenti isterici, affermare la propria esistenza è anche una forma di resistenza».

Cosa manca ancora da dire?
«Che si ride. Almeno, io leggendo e rileggendo ho puntualmente riso e sorriso, in più punti. C’è una vena picaresca che corre insieme alla storia. Un incanto nel disincanto, se così si può dire».

In questa storia c’è una vena picaresca. E’ un incanto nel disincanto

La sinossi

Divampa una rivolta in Francia. Insorgono i nuovi miserabili. Dalle banlieue al cuore delle città l’urto si propaga. Sconvolge economia, frontiere, finanza e istituzioni. Tremendo il contraccolpo per l’Italia, vertiginoso il tracollo. Lo Stato scalcia, vacilla e schianta nel volgere di un’estate. L’ultima, in tempo di pace. Sgretolamento, frantumazione, apnea dell’ordinario…

Ma è quando i vincoli sociali si allentano, che affiorano le vite. Pinti ne afferra sette. Sette traiettorie emblematiche come carte dei tarocchi, allo stesso modo ambigue, irripetibili, contraddittorie. Le mescola in una trama di rimandi e corrispondenze, le accarezza con una scrittura capace di trattenere, da ogni gesto e da ogni pensiero, una particolare luce. Sempre fraterna, a tratti ironica, mai giudicante.

Che sia un viaggio con lo zaino in spalla o una crisi di governo, una guerriglia urbana o una capriola tra le foglie, ogni pagina schiude un orizzonte dov’è lo spazio intimo a scavare nel politico, di fenditura in fenditura, fino a svuotare molte delle parole con cui la civiltà si ostina a raccontare se stessa. Un romanzo di stirpe nuova, barbarico e delicato. Una sinfonia picaresca, a strapiombo sul caos. Una nicchia per creature selvatiche, nell’incerta ora del tramonto.