La banda degli onesti

Caianiello inchiesta forza italia marini

Sentita da un collega giornalista: “Per la prima volta nella storia, un congresso di un partito coincide con il funerale dello stesso”. Inopportuno sarcasmo? Mettetela come vi pare, ma lo tsunami giudiziario che si è abbattuto su Forza Italia a tre giorni dall’assise provinciale che avrebbe dovuto rilanciarla ha, inevitabilmente, un effetto esiziale. Colpito e affondato il partito, colpita e affondata Agorà, l’azionista di maggioranza che ne ha determinato i destini in questi ultimi anni.
Il collega ha ragione. Per dirla alla Feltri: è fattuale. Gli scenari che si aprono non depongono a nulla di buono per i berlusconiani locali, perlomeno per coloro che sono esenti da provvedimenti della magistratura e che sono chiamati, se mai ne avranno spirito e capacità, a ricostruire sulle macerie.
Si scopre, ma per molti non è neanche una sorpresa, che una certa politica si reggeva su un sistema consolidato di vero o presunto malaffare. Una macchina a quanto pare ben oliata, che gestiva interventi urbanistici, nomine negli enti, alleanze amministrative e quant’altro attiene alla vita pubblica; un sistema a cui facevano riferimento in molti nel tentativo di procacciarsi una qualche commessa o una poltroncina, un favore o una prebenda.
Regista era, secondo le accuse, Nino Caianiello, il mullah o, per il pubblico ministero, il feudatario a cui rispondevano vassalli, valvassori e valvassini. Un feudatario nemmeno iscritto a Forza Italia, da cui era stato a suo tempo espulso. Da non credere, alla luce di mille indagini e altrettanti processi che hanno aperto uno squarcio sulla corruzione nazionale e nostrana. Scontato affermare che, nonostante tutto, persino nonostante mirate condanne, c’è chi non ha imparato niente. Ed è ricaduto in tentazione. Arroganza? Convinzione di impunità? Avidità? Sciatteria? Qualunque sia la risposta il problema morale si somma al problema politico. Un doppio binario che merita approfondimenti specifici, per cercare di capire quali siano le logiche che sottendono a tutto ciò. La logica del profitto, certo. Ma anche quella del potere, del “qui comandiamo noi” in barba alle regole e ai principi della correttezza. Poi, per carità, saranno i giudici a stabilire il peso del coinvolgimento dei novanta e passa indagati, non tutti sullo stesso piano. Alcuni probabilmente costretti a sedersi al desco, impotenti a ribellarsi, comunque coinvolti.
Ciascuno, alla fine, troverà scuse e giustificazioni, ma da questa sorta di “banda degli onesti”, dove per definizione le colpe sono sempre degli altri, non potranno chiamarsi fuori le segreterie politiche e, con esse, i politici e gli amministratori che hanno goduto di sostegni o, addirittura, sono espressione di Caianiello e soci. Subito c’è chi si è peritato di farci sapere che “lui non c’entra” con l’inchiesta della procura milanese, in fuga come topi dalla nave che affonda, pronto a rinnegare consolidate parti in commedia. Alcuni di questi signori non potevano non sapere. E se non sapevano, o erano ciechi o degli allocchi eterodiretti.
Il problema, dicevamo, è politico. La responsabilità morale è di tutti, anche di coloro i quali ora fanno gli gnorri. Una situazione che richiederebbe serie verifiche tra le segreterie, in primis nel centrodestra. Tant’è che la Lega provinciale ha già fatto sapere che il direttivo, convocato per venerdì, valuterà il da farsi nei tanti governi locali che si reggono sull’alleanza tra forzisti e leghisti. Anche e soprattutto in amministrazioni come quella di Busto Arsizio, dove non basta essere affrancati dalla giustizia per dirsi innocenti.

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