La Tv e il teatrino della politica

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di Antonio Laurenzano

Impietosa verità quella rilevata dall’ultimo rapporto Censis sulla classe politica di casa nostra: oggi il 90% degli italiani vorrebbe vedere sempre meno politici in televisione. E non a caso, osserva Massimiliano Valerii, direttore generale del Censis, “c’è uno zoccolo duro di tre italiani su dieci che ha buttato via la tessera elettorale e non va a votare.”

Nei palazzi romani è caduta nel dimenticatoio la linea del Governo Monti di non mandare ministri e sottosegretari nei talk show televisivi per “essere più presenti a lavoro”. Si voleva “normalizzare” l’informazione politica, azzerando la sovrapposizione e identificazione tra il dibattito politico e la sua rappresentazione mediatica. Cancellare quindi il ricordo di partecipazioni a programmi tv con interventi poco eleganti, funzionali alle esigenze di share del conduttore di turno. Il compito di chi governa, sosteneva l’ex premier Monti, non è rappresentare se stesso e le proprie scelte, ma compiere quelle scelte e applicarle nel rispetto del mandato ricevuto.

Di acqua sotto i ponti del Tevere a Roma, in questi anni, ne è passata tanta, ma nulla è cambiato: il passato che ritorna. Oggi il politico è un volto noto, al pari di un attore televisivo, pronto a calarsi nel ruolo di “personaggio tv” appena davanti a una telecamera. Personalismo, rissosità e toni sempre più accesi per stare al passo con le “regole” della visibilità televisiva. Un chiacchiericcio politico che con l’approfondimento ha davvero poco a che fare, con tanti ringraziamenti a una chiara e corretta informazione. Tante parole in libera uscita, pochi elementi di dibattito serio e costruttivo con la sensazione generale, alla fine della trasmissione, che tutti quanti si capisca di meno. E’ il teatrino della politica! E’ il luogo in cui il dibattito fra i partiti, o presunto tale, prende “teatralmente” vita con “attori” che, lasciando il seggio di Montecitorio o di Palazzo Madama, liberano in uno studio televisivo ogni repressa forma di protagonismo, accantonando progettualità politica e concretezza d’azione. Spettacolo inquietante sul quale, ammonisce il critico televisivo Aldo Grasso, c’è poco da essere indulgenti: “Smettiamola di pensare che i politici siano i protagonisti di una grottesca sitcom, degli innocenti personaggi che abitano l’immaginario collettivo, anche perché i danni di questa classe politica sono concreti e sono sotto gli occhi di tutti.”

I politici ormai invadono a qualsiasi ora il piccolo schermo. Intervallati dai servizi in esterna, si snodano così interminabili girandole di pareri e soprattutto esternazioni di esponenti di partito chiamati a dire, a volte senza cognizione di causa, la loro verità e ancora di più a sconfessare quella altrui. Una finestra sempre aperta sulla politica nazionale da parte di tutte le reti: dalla Rai a Mediaset, a La7. Tutta la programmazione mattutina e pomeridiana, con forte presenza in prima serata, non è altro che un lungo (sfibrante) talk show politico. E più la politica si indebolisce, più si rafforza il ruolo della tv nel cercare di spiegarla, anche nell’era dei social media.

Decine di milioni di persone accendono giornalmente la televisione, a conferma dell’importanza strategica che ha assunto nel tempo lo spazio tv per ogni politico. Una campagna elettorale dal vivo, che non finisce mai: politica e tv, un’attrazione perenne. Un’attrazione favorita anche dalla progressiva erosione delle competenze legislative delle assemblee parlamentarti e dai relativi tempi del dibattito politico certamente poco televisivi. Si alimentano così di ambizioni personali e di una mediocrità dei palinsesti certe trasmissioni televisive che sono divenute il sintomo della malattia populista italiana: fake news, bufale e volgarità gratuita sono le “perle” di una tv spazzatura. Indignarsi non serve a nulla. Per fortuna c’è il telecomando, perché “nella vita comandi fino a quando c’hai stretto in mano il tuo telecomando”. Renzo Arbore docet.

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