Lega di lotta e di governo, ma il pericolo è Fratelli d’Italia

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Giorgia Meloni e Matteo Salvini

I leghisti del Varesotto lo aspettano come fosse il Messia. La visita di Matteo Salvini è annunciata in provincia per sabato 18 settembre, momento clou della campagna elettorale di un Carroccio che, a detta dei maggiori organi di informazione nazionali, vive una sorta di dissociazione politica, di dicotomia interna. Antonio Polito sul Corriere della Sera sintetizza questo vero o presunto stato confusionale con la differenza tra felpa e governo, tra la Lega di lotta e quella appunto di governo, invenzione di Umberto Bossi quando furoreggiava in Parlamento, che resiste nel tempo.

Rappresentante massimo di una simile situazione è oggi Salvini. Il suo è un dna di lotta, preferisce la protesta, la piazza, insomma, la felpa. Invece gli tocca stare nei corridoi di Palazzo Chigi indossando la giacca e la cravatta, al cospetto di un Mario Draghi che tira dritto per la sua strada e pare non accorgersi di quanto gli succede attorno. Ad esempio, una Lega che in Parlamento vota contro, e poi a favore, ai provvedimenti del governo di cui fa parte, ma dopo aver minacciato l’astensione. Matteo Salvini, scrive Polito, ha nostalgia dell’opposizione. Soffre Giorgia Meloni e la sua libertà di parola, le reiterate critiche alla compagine di Draghi. Una Giorgia Meloni che i sondaggi danno in crescita a discapito della Lega.

Green pass e obbligo vaccinale sono i temi forti, che dividono i leghisti. L’asse Giancarlo Giorgetti/governatori delle Regioni si contrappone alla linea dura dello stesso segretario federale e di deputati come Claudio Borghi, che sulle questioni sanitarie tengono un atteggiamento di chiusura, ammiccando ai no vax nella speranza di raccattare consensi da una minoranza invisa anche a gran parte dei leghisti. Questioni tutt’altro che secondarie, che finiscono per mettere in discussione proprio Salvini. Certo, i suoi attacchi alla ministra dell’Interno Lamorgese sulla sicurezza e sull’immigrazione possono fare breccia negli elettori, ma vanno dritti al cuore della compagine di governo, la indeboliscono quanto meno nell’immaginario collettivo.

La partita si gioca dunque in sede elettorale. I risultati delle urne, soprattutto nelle grandi città, avranno un peso forse decisivo per la leadership leghista. Nel partito nessuno ne parla apertamente, in campagna elettorale non si può, non si deve. Ma gli spifferi sono numerosi. Il confronto interno rimane sottotraccia anche qui nei nostri territori che affrontano un problema in più, relativo ai candidati sindaci. Matteo Bianchi a Varese in orbita governativa di Giorgetti, Andrea Cassani a Gallarate organico al Salvini di lotta. Emanuele Antonelli a Busto Arsizio espressione di Fratelli d’Italia. Chi vince, chi perde: la differenza si farà sentire.

La posta in gioco è però troppo alta per mettere in piazza dissapori e dissonanze. Ma il problema rimane: anche un voto in meno rispetto a Fratelli d’Italia potrebbe diventare un detonatore pericoloso per il futuro di una Lega che si agita per restare il partito maggiore della coalizione. Anche nel Varesotto. Elettori permettendo.

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