Lonate celebra la legalità con Giovanni Impastato. «La mafia si può sconfiggere»

lonate giovanni peppino impastato

LONATE POZZOLO – «La mafia si può sconfiggere. E in pochissimo tempo. Se non è successo è perché qualcuno la rende invincibile». Una frase che può suonare come un sogno di pochi. Che sembra appartenere solo ai grandi eroi dello Stato, che nel corso degli anni sono passati alla cronaca nazionale per il loro impegno nella lotta contro la criminalità organizzata, fino a diventare veri e propri punti di riferimento. Ma se a pronunciarla è Giovanni Impastato, fratello di Peppino, allora una speranza c’è. Ed è stato soltanto uno dei suoi numerosi interventi di ieri sera, 9 luglio, come ospite nella sala Ulisse Bosisio del monastero di San Michele a Lonate Pozzolo.

Un futuro all’insegna della ribellione contro tutto ciò che è sbagliato, l’impegno nell’educazione delle nuove generazioni e il valore dell’eredità della memoria. Tre possenti pilastri su cui si basa il libro dedicato al fratello Peppino, giornalista e attivista ucciso il 9 maggio 1978 per mano di Cosa Nostra. Tre concetti che durante la presentazione di ieri hanno aperto un dibattito che ha coinvolto non solo i presenti in sala, ma anche – e soprattutto – i bambini del progetto Redazione Gentile, cogliendo l’occasione per fare domande sulla legalità e sulla vita di Peppino. Presenti anche il sindaco Nadia Rosa e gli assessori Melissa Derisi (Gentilezza) e Luca Perencin (Lavori Pubblici). A mediare l’incontro, il giornalista Orlando Mastrillo. A fine serata, è stata intitolata a Peppino l’ala nord del monastero.

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«Combattiamo la criminalità anche noi»

Lonate negli anni ha dovuto subire il peso della criminalità organizzata. Ma ha saputo anche rialzarsi, da quella famosa marcia per ricordare che «gli onesti sono di più». Un ricorrenza che cadeva proprio ieri. «È importante che tutti noi, giovani e meno giovani, anche senza avvenimenti eclatanti che scuotano, ci rendiamo conto che “la mafia è una montagna di merda”», ha detto il primo cittadino, citando le note parole di Peppino Impastato. «E comprendiamo che dobbiamo combattere la criminalità anche noi, con le nostre semplici azioni». E ha aggiunto: «L’abbiamo dimostrato due anni fa, dopo gli arresti di Krimisa. Ora vogliamo crescere in cultura, condivisione e socialità». Non è mancato un pensiero per Peppino: «Per lui, la lotta alla mafia è stata una ragione di vita. E anche di morte. Il suo sacrificio non è andato perduto, soprattutto per il grande lavoro di tutti coloro che non hanno accettato le falsità e i depistaggi nelle indagini. La sua eredità è proseguita con sua madre Felicia, suo fratello Giovanni, con Casa Memoria e prosegue con tutti quelli che partecipano a questi incontri. Noi compresi».

Cos’è la mafia? «Tutto il negativo possibile»

Il resto, è passato in mano a Giovanni Impastato. Un po’ rispondendo alle domande dei giovani della redazione gentile, un po’ sostenuto dallo spirito di «dare consigli in base alle esperienze che ho vissuto», i suoi interventi sono stati il motore della serata. Sì, perché la famiglia Impastato è di origine mafiosa, in quella Cinisi che è stata teatro delle lotte politiche e sociali di Peppino. E che poi gli ha dato la morte, tra i vari tentativi di depistaggio. Cos’è la mafia? ha domandato uno dei giovanissimi della Redazione Gentile. «È tutto il negativo possibile che possiamo vedere», ha risposto Giovanni. «È sopraffazione, prepotenza, ingerenza nei confronti degli altri». E ha aggiunto: «Da piccoli ce l’hanno fatta percepire come qualcosa di positivo, come un codice d’onore con delle regole per contrastare le ingiustizie dello Stato: non era vero». A dare una svolta alla loro vita, l’assassinio dello zio Cesare Manzella, capomafia del paese. «Lì abbiamo capito. E tutto è cambiato».

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La legalità come dignità umana

Ma aldilà della storia, Giovanni ha presentato il libro in cui racconta «risvolti nuovi, anche intimi» del suo rapporto con Peppino. Il fine ultimo è «dare suggerimenti ai giovani: qui racconto episodi sconosciuti, che inizialmente volevo tenere per me come ricordo. Ma andavano condivise, in modo che le nuove generazioni possano trovare spunto per fare le scelte giuste, lontano dalla violenza e dalle tentazioni». Ma soprattutto ha messo ben in evidenza il tema della legalità e della lotta per la sua affermazione. «Non si tratta solo di rispetto delle leggi, ma di rispetto della dignità umana. Un uomo che pensa, lotta, studia, è perché vuole cambiare qualcosa». In termini corretti si dovrebbe parlare di «legalità democratica costituzionale e anti-fascista». In questo contesto, «la disobbedienza civile è il massimo punto per mantenere alti questi valori: dobbiamo educare i giovani perché siano critici e in grado di ribellarsi di fronte ogni forma di ingiustizia».

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Memoria concreta

Alla fine della serata, l’intestazione a Peppino di un’ala. Non solo un gesto simbolico. O almeno, non soltanto. Ma «un atto concreto che agisce sull’eredità della memoria». Un concetto che è stato ben sottolineato: «Dobbiamo costruire la memoria sul futuro, anche attraverso testimonianze concrete, altrimenti rischiano di scivolare nel nulla». In questo senso, tra gli esempi, il casolare in cui è stato ucciso Peppino: «Avevano intenzione di abbatterlo, ma ci siamo imposti fermando le ruspe perché non accadesse: nessuno deve poter dire che l’omicidio ce lo siamo inventati noi, abbiamo testimonianza di un luogo materiale». Lo stesso vale per la casa confiscata a Gaetano Badalamenti, il boss mandante dell’assassinio: «Ora ci sono sale conferenze e biblioteche, ma lì dentro sono stati organizzate stragi di mafia, anche eccellenti. Anche l’omicidio di Peppino». Ma adesso «le chiavi ce le abbiamo noi, noi apriamo quelle porte. In questa modo abbiamo sconfitto quella mafia. E l’impegno, ora, è prendere i ragazzi per mano e accompagnarli per metterli a contatto con la storia e la memoria».

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