Malapolitica, così fan tutti

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C’è una frase di Nadia Calcaterra, sostituto procuratore della Repubblica a Busto Arsizio, pronunciata durante la conferenza stampa per annunciare gli arresti eccellenti di Legnano, che apre uno spaccato inquietante sul mondo della politica. Eccola: “Nessuno di loro è parso rendersi conto della gravità delle azioni commesse”. Il riferimento è alle persone finite in carcere o ai domiciliari, il primo cittadino Gianbattista Fratus, il suo vice Maurizio Cozzi, l’assessore Chiara Lazzarini. Di nuovo il pubblico ministero: “E’come se fosse prassi comune comportarsi in un certo modo, derogando dalle norme per i concorsi”. Ciò a dire: così fan tutti. Ed è proprio questo atteggiamento di accondiscendenza generalizzata che inquieta. Non è esclusiva degli amministratori legnanesi, è una convinzione che, in molti casi, giustifica anche le tangenti, sostiene il malaffare, la pratica illegale per ottenere favori, benefici, consenso.

Il malcostume è endemico nel tessuto politico e, diciamolo con chiarezza, nella società. Quanti di noi non brigherebbero per saltare una fila, ad esempio? Addirittura normale che degli amministratori si diano da fare per truccare una gara e alterare i bandi, così da favorire l’amico o l’amico degli amici. Un’abitudine, appunto. Un vizio che cancella anche i filtri etici che dovrebbero caratterizzare l’attività pubblica.

Il problema è che, davvero, non si finisce mai di sorprendersi alle notizie che, di giorno in giorno, riguardano le conseguenze giudiziarie della malapolitica, notizie che si reiterano senza soluzione di continuità anche in queste settimane che precedono le elezioni. Come se non ci fosse un domani, né più né meno come ai tempi di tangentopoli. Che sia davvero tornata tangentopoli? Più facilmente non è mai finita, fin dai primi anni Novanta quando il pool di Mani Pulite e una serie di pubblici ministeri in giro per il Paese blindarono la classe politica in senso trasversale, per arrivare ai nostri giorni.

D’accordo, a Legnano sarebbe improprio parlare di mazzette, l’impianto accusatorio contempla altri presunti reati. Ma i presupposti etici sono gli stessi, toccano da vicino la scorrettezza di chi dovrebbe essere invece esempio di virtù. Quel “così fan tutti” è la base su cui poggiare l’illecito e in maniera diffusa, spesso coperto dall’omertà e dagli interessi di cadrega di chi sa e non parla. Connivenze politiche, che non costituiscono rilevanza penale, ma che ugualmente non assolvono niente e nessuno. Al punto che si finisca per pagare la “decima” al capataz locale (vedi l’inchiesta Mensa dei poveri) o si manipoli un concorso per aprire corsie preferenziali al candidato di fiducia. Un contesto e un clima che non aiutano a rasserenare le coscienze, che conducono alle urne con un senso di allarme e di irrequietezza nei cittadini.

C’è chi sostiene che i blitz della magistratura in periodi pre elettorali nascondano finalità politiche, addirittura destabilizzanti. E c’è chi ritiene che la procura di Busto abbia calcato troppo la mano nella vicenda legnanese, da considerare all’interno delle difficoltà operative e ai rischi che corre un amministratore locale rispetto ai confini del lecito, spesso indefiniti. Ciascuno può pensarla come meglio crede, di sicuro l’onestà è una cifra che non si baratta a seconda delle circostanze, né si può ritenere che un magistrato debba usare accortezze per salvaguardare la faccia ai politici quando accerta la loro disonestà. Ci mancherebbe altro.

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