Malpensa a picco. E la politica cosa fa? Litiga

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L’argomento, la situazione di Malpensa, spunta fuori di tanto in tanto, proposto da qualche politico locale, giustamente interessato al futuro dello scalo varesino e delle migliaia di persone che vi lavorano o vi vivono attorno; più spesso è un argomento che sta sullo sfondo di uno scenario complessivo dominato e, purtroppo, condizionato dalla pandemia. Inutile rammentare tutte le conseguenze sanitarie, economiche e sociali causate dal virus: sono dentro la quotidianità di tutti noi, tanto che, il ribadirle, sarebbe persino stucchevole. Il “profondo rosso” dell’aeroporto della brughiera è appunto una di queste pesantissime conseguenze. Della quale, invece, si parla poco rispetto a scenari che, sui versanti occupazionali e sociali, rischiano di tramutarsi in una bomba.

L’Unione degli Industriali della provincia di Varese stima che almeno 40mila persone, tra addetti operanti in aeroporto e occupati nell’indotto, sono oggi senza lavoro. E’ l’effetto del crollo del traffico aereo: meno 95 per cento. Una crisi senza precedenti, le cui ricadute collaterali spingono il territorio e l’intera Lombardia verso prospettive disastrose. Logistica, alberghi, posteggi, tassisti, ristoranti e tutto quanto gravita dentro e fuori lo scalo è bloccato, tenuto fermo dalla mancanza di opportunità lavorative, da un vuoto siderale che sta, piano piano, prefigurando il dramma.

Quali le soluzioni? Scontato rifugiarsi nella speranza che il virus faccia dietrofront al più presto: come era già successo quest’estate, alla fine della cosiddetta prima ondata, il “motore” di Malpensa aveva ricominciato a girare, a scartamento ridotto, con traguardi a media e lunga scadenza, ma col sostegno di una ripresa possibile e cercata. Ma ora? Nell’attesa che il vento cambi direzione, c’è chi propone di chiudere di nuovo Linate, spostando il traffico residuo in brughiera. Molti sono d’accordo, altri nicchiano. “Molti” e “altri” sono i politici, coloro i quali tengono nelle mani le leve decisionali. Dovrebbero fare fronte comune per salvare il salvabile. Abbiamo sotto gli occhi qual è invece la situazione: proposte, certo, ma contraddittorie, scambi di accuse e la sgradevole sensazione che ci sia anche chi provi a sfruculiare nel problema per ottenere consenso. Il centrodestra accusa il governo di fare il gioco di Roma Fiumicino, infischiandosene di Malpensa; il centrosinistra attacca la Regione Lombardia incolpandola di non aver mai messo la testa sul problema generale degli aeroporti. In mezzo ai due litiganti c’è la scassatissima Alitalia che ne approfitta per tirare avanti coi soldi pubblici, facendo ciò che più le aggrada. Per esempio? Restare lontana dalle piste della brughiera.

A proposito di soldi pubblici: sono centinaia i lavoratori aeroportuali ancora in attesa della cassa integrazione, mesi senza ricevere un euro di contributo, lasciati al loro destino come se nulla fosse. E la colpa non è soltanto della burocrazia. Ristori, come li chiama furbescamente Giuseppi Conte, che non arrivano o, quando arrivano, sono briciole rispetto alle reali perdite patite da tutte le attività che hanno fatto richiesta di un sostegno e che ne avrebbero vitale bisogno. Un precipizio economico di grandi proporzioni, a cui bisogna far fronte senza perdere tempo per evitare che esploda la bomba sociale. Il problema a questo punto è proprio la politica, che dovrebbe farsi carico in modo concreto della vicenda. I comunicati e le prese di posizione sui giornali forse non bastano. Serve altro. Serve che la politica, oltra a smettere di litigare, tiri fuori le unghie. Sempre che i politici di casa nostra non le abbiano spuntate. Che sarebbe un po’ come dire: non avere voce in capitolo.

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