La cura Cazzaniga: “Mi avete portato un catorcio, adesso ci penso io”

SARONNO  – “Con i colleghi del 118 si vantava e diceva: mi hai portato questo catorcio, adesso ci penso io”. E’ una delle frasi più forti pronunciate oggi, venerdì 13 luglio, durante il processo contro l’ex vice primario del pronto soccorso di Saronno, Leonardo Cazzaniga, accusato davanti alla Corte D’Assise del tribunale di Busto Arsizio di 14 omicidi volontari (11 pazienti e 3 in ambito familiare). Ha parlato Jessica Piras, una delle infermiere dell’ospedale (ora lavora in un’altra struttura). Il “catorcio”, secondo la teste, era il termine utilizzato dal Cazzaniga per definire i pazienti terminali.

La questione nodale

Ma ci sono anche altre questioni che sono state sollevate. Una nodale che è poi il punto nevralgico di tutto il processo. Cazzaniga voleva uccidere i propri pazienti terminali, oppure praticava una terapia medica volta ad alleggerire le loro sofferenze e che fisiologicamente ne riduceva i tempi di vita? Un interrogativo che l’infermiera ha risolto a favore dell’accusa: “Cazzaniga – ha sottolineato la Piras – parlava del protocollo apertamente con tutti. Ma le cure palliative sono altre. E’ necessario il consenso delle famiglie al termine di un percorso. Si usano altri farmaci, con altre quantità e con diverse tempistiche. Quella non era una terapia palliativa”.

Il terribile “protocollo”

Poi ancora:”Sentii parlare del protocollo direttamente da Cazzaniga,  era una somministrazione di farmaci in dosi massicce a pazienti terminali per mettere fine alle loro esistenze. A me – dice – non è mai stato chiesto di somministrare quei farmaci. Altri miei colleghi o si erano rifiutati o avevano chiesto che fosse loro cambiata la sigla”. Ha raccontato anche ciò che girò attorno alla morte di Massimo Guerra, il marito di Laura: “La Taroni – ha detto l’infermiera in aula– mi raccontò che tritava i farmaci e li mescolava nel caffè e nel pesto. Mi spiegò che lo faceva per tenere a bada il marito. Le dissi che non era prudente per i bambini, ma lei mi spiegò che il marito e i figli non mangiavano le stesse cose”. Alla difesa, tuttavia, l’infermiera, con la quale inizialmente era in ottimi rapporti di confidenza, ha spiegato di non aver mai appreso da Laura Taroni di possibili pratiche sessuali estreme.

Massimo Guerra si fidava

La contestazione mossa al Cazzaniga riguarda la prescrizione della Metformina, un farmaco consumato dai diabetici, ma il Guerra non ne era affetto. “Una sera a cena – ha raccontato l’infermiera – chiesi a Massimo come mai stesse prendendo dei farmaci se i medici non glieli avevano prescritti. Lui mi rispose che Laura gli diceva di prenderli e lui si fidava ciecamente della moglie. Prima di una cena gli vidi assumere una pastiglia di metformina”. Nel frattempo nell’ospedale di Saronno si iniziava a respirare una strada atmosfera: “I medici sapevano che c’era qualcosa che non andava e quindi per quanto fosse possibile, dei pazienti, cercavano di farsene carico loro”. La domanda a questo punto rimane una sola: perché nessuno raccontò di quei sospetti? La risposta forse arriverà con il proseguio del dibattimento.

Cazzaniga infermiera processo – MALPENSA24