Quanto sei bella Busto quando è sera

Nel film “Sistemo l’America e torno”, Paolo Villaggio dice alla gallerista di New York: “La prego signora, mi aiuti: io sono di Busto Arsizio”. Ancora il comico genovese, in “I no spik inglish”, definisce Busto addirittura “agghiacciante”. Sono soltanto due della tante citazioni che il cinema ha dedicato alla ex Manchester italiana. Un florilegio di “Busto Arsizio” quasi sempre in tono negativo, irridente, come ad affermare un non luogo o, bene che vada, un posto senza storia, privo di fascino. Colpa del doppio nome che produce una stonatura lessicale e un conseguente effetto comico? Colpa di cos’altro non sapremmo dire, ma è scontato che Busto è tutt’altro che un “non luogo”. Pleonastico spiegare il perché e il per come di una città che ha molto da dire sui versanti economici, produttivi, sociali e culturali. Non a caso si parla di bustocchità, termine che ne identifica l’identità e, appunto, la sua inoppugnabile storia.

E’ anche da queste premesse che l’amministrazione civica promuove #ilbellodivivereabusto addirittura nella grande Milano, invitando con una serie di manifesti sparsi nella metropoli a venire a vivere e, attenzione, a investire a Busto Arsizio. Una campagna pubblicitaria di tipo tradizionale, benché non si tratta di lanciare una saponetta o un formaggino, ma una città. Un’impresa a suo modo impossibile nell’era di internet, non tanto o non solo per la nomea e i pregiudizi che il cinema le ha cucito addosso, quanto per la concorrenza di altri centri con le stesse caratteristiche e con uguali offerte. Eppure, le ferrovie, le autostrade, la vicinanza di Malpensa e, per un altro aspetto, della zona dei laghi con le sue bellezze, regalano una centralità e una comodità che altri luoghi non possono spendere.

Milano rimane a un tiro di schioppo: venti minuti, mezz’ora al massimo e sei in piazza del Duomo. Poi il costo della vita meno caro, gli affitti, le imposte, i servizi, il prezzo degli appartamenti di una città in crescita e più facile da approcciare per chi ha intenzione di investire. E’ una buona iniziativa quella dell’esecutivo di Palazzo Gilardoni, anche se bisognerà misurarne i risultati in futuro. Anche se tutto sommato non bastano quattro cartelloni per convincere i milanesi a guardare con maggiore interesse a Busto Arsizio, bella da vivere nonostante tutto.

Lo spopolamento delle metropoli è però un dato di fatto; meglio la provincia. Specialmente quel tipo di provincia che cerca di affrancarsi dal provincialismo, magari con iniziative culturali di prestigio. Come sta accadendo di questi tempi proprio a Busto Arsizio. Che non può più essere considerata periferia di Milano, né un paesone dell’Alto Milanese o del Basso Varesotto con tutti i difetti di un paese. Alcuni dei quali forse resistono, difficili da sradicare, sommersi però da mille e più attività di livello, che conferiscono alla sesta città della Lombardia (per numero di abitanti) un’aura inedita, fino al punto da venderne le sue peculiarità ai milanesi, proponendola come via di fuga ai più opprimenti e caotici contesti di una grande città. Qualcuno magari sorriderà o storcerà il naso (essere scettici è sempre consentito), ma se è vero che la pubblicità è l’anima del commercio, l’immagine reclamizzata di una città può diventare un contributo al suo sviluppo e a una migliore qualità della vita. Basta crederci.

“Il bello di vivere a Busto” sbarca a Milano: cartelli pubblicitari per attrarre residenti

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