VISTO&RIVISTO Il giorno sbagliato: la smania di mostrare è il pericolo più grande

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di Andrea Minchella

VISTO

IL GIORNO SBAGLIATO, di Derrick Borte (Unhinged, Stati Uniti 2020, 90 min.).

Una goccia e il vaso va in frantumi. Russell Crowe si carica sulle sue spalle forti e larghe questo film che negli intenti vuole esplorare il pericoloso e labirintico animo umano della societa’ contemporanea, stretta tra la schizofrenia sentimentale e la fluidita’ della comunicazione, ma che in realta’ si perde nei pericolosi meandri della banalita’ e dell’’ eccessiva franchezza. Derrick Borte, regista tedesco naturalizzato negli Stati Uniti e di cui ricordiamo solamente il discreto “London Town”, prende in mano la piu’ che dignitosa sceneggiatura del navigato Carl Ellsworth e la trasforma in una pellicola che, purtroppo, cade troppo spesso nella trappola della voglia di mostrare esageratamente, per aumentare vertiginosamente la tensione tra gli spettatori, piuttosto che nascondere e celare. Come se in terra americana un film che tratta di violenza debba essere per forza raccontato in una lingua violenta ed estrema.

La storia, semplice e lineare, vede protagonisti Tom Cooper, un violento e folle automobilista, e la giovane e distratta madre Rachel, fresca di divorzio e di licenziamento. I due si “sfiorano” in un incrocio dove il semaforo verde non rispettato da Tom scaturisce una reazione non garbata da parte dell’automobilista che gli sta dietro, Rachel appunto. Da qui ne nasce la reazione spropositata e ferocemente violenta di Cooper, un gigantesco e centrato Russell Crowe. Quello che dovrebbe essere una vendetta urbana diventa una vera e propria mattanza familiare.

Se tecnicamente il film e’ costruito in maniera da tenere lo spettatore abbastanza legato alla narrazione, l’occasione perduta del regista di scendere in profondita’ di alcuni aspetti dell’animo umano, se sotto pressione e svincolato da qualsiasi rapporto umano, risulta chiara ed evidente per quasi tutto il tempo del racconto. Il film diventa ben presto un “thriller” che vede il cattivo e il buono in un inseguimento basico e scontato. Ma la violenza di alcune scene stona con il tentativo di raccontare “soltanto” un clacson suonato con troppa violenza.

La violenza gratuita e’ certamente un argomento attuale che necessita di essere raccontato ed analizzato. Se pero’ questo tema diventa solo uno spunto per dar vita ad una faccenda di inseguimenti e di omicidi, come fossero rituali urbani, scelti a caso su una rubrica del telefono, allora il rischio di produrre soltanto l’ennesimo film estremo e arido diventa molto probabile come in questo caso.

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RIVISTO

DUEL, di Steven Spielberg (Stati Uniti 1971, 74/80 min.).

La paura. Quella vera. Il manifesto artistico di Steven Spielberg racchiude in sè tutto quello che il giovane regista dell’Ohio ci avrebbe raccontato nei successivi cinquant’anni di cinema.

Nato per il circuito televisivo americano, ben presto divento’ un caso “mediatico” tanto da convincere i produttori a far rimontare il progetto, allo stesso Spielberg, per trasformarlo in un film che potesse entrare nel circuito cinematografico mondiale. Spielberg aggiunse sedici minuti di scene, inizialmente tagliate, e consegno’ alla storia il piu’ inquietante e terrificante film “di inseguimento” che essere umano avesse mai visto. Considerato ancora oggi una pietra miliare del cinema “suspense”, la storia si basa su una semplice ed angosciante trovata narrativa: un automobilista, su una strada di una qualsiasi parte desertica americana, incontra un’autocisterna che da quel momento non lo molla piu’, inseguendolo come fosse un oggetto animato e privo di guidatore.

La pellicola diventa angosciante ed asfissiante per l’assenza di un motivo scatenante del violento e assillante inseguimento, e per l’umanizzazione che sembra avvolgere la maestosa e grigia autocisterna. Spielberg, nella sua narrazione, sottrae piu’ tosto che aggiungere. Questa sua scelta trasforma un bel film in un vero e proprio “cult” dell’intera cinematografia mondiale.

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