VISTO&RIVISTO Meraviglioso viaggio nella memoria. E nel senso di colpa

minchella bellocchio marx

di Andrea Minchella

VISTO

MARX PUO’ ASPETTARE, di Marco Bellocchio (Italia 2021, 96 min.).

Potente e travolgente. Piccolo ma nello stesso tempo gigante. Sussurrato ma nello stesso tempo assordante. Marco Bellocchio decide di fare i conti con uno dei dolori più grandi che si possa vivere nella gioventù: la morte del proprio fratello. Peggio, il suicidio del proprio gemello. Il regista piacentino ricostruisce tutte le tappe della sua memoria grazie alle testimonianze dei fratelli e delle persone che hanno conosciuto Camillo Bellocchio, morto suicida nel 1968 quando aveva appena 29 anni.

Assistiamo ad un intenso e intimo viaggio nei ricordi del regista che vuole capire se Camillo aveva lanciato qualche richiesta di aiuto. L’autore di “Pugni in Tasca” vuole ripercorrere la sua adolescenza e la sua infanzia per capire se davvero suo fratello, forse, avrebbe potuto salvarsi. E così, con una serenità ed una dignità che solo un grande uomo può raggiungere, il regista ricostruisce la storia della famiglia Bellocchio dalla propria nascita, e del gemello Camillo, nel 1939, fino al giorno in cui Cammillo fu ritrovato senza vita nella sua palestra a Piacenza. Questo enorme progetto lo realizza anche grazie ai racconti dei fratelli Piergiorgio, intellettuale fumatore incallito, e Alberto, sindacalista puntuale e preciso, e grazie anche ai ricordi delle sorelle Maria Luisa, dimessa e discreta, e Letizia, religiosa e carica di parole come fosse un fiume in piena. Il risultato è eccezionale. La narrazione, dolce e dimessa, ci avvolge in un abbraccio carico di amore e di malinconia. Diventiamo anche noi un componente della famiglia Bellocchio. Anche noi soffriamo e, poco per volta, sentiamo il peso di un rimpianto, di un latente senso di colpa, che diventa cardine universale delle emozioni più forti che si vivono all’interno di una famiglia.

La narrazione è un’esplosione di immagini, ricordi, odori, colori. La vita di Camillo si incastra, non alla perfezione, con le esistenze dei fratelli Bellocchio. Le emozioni centrifugano ogni parola pronunciata durante il film. La linea narrativa si arricchisce con le melodie, potenti e strazianti, che Ezio Bosso ha composto per il film. Solo chi soffre, o ha sofferto, può scrivere delle note così profonde e così emozionanti. Grazie a questa vicenda possiamo ricostruire l’immagine di un’Italia che non c’è più, di un’Italia che è stata culla di un fermento giovanile che è sfociato nel “sessantotto” di cui Marco Bellocchio è stato, certamente, un autore “preveggente”. L’Italia che fa da contesto all’arte di Marco è la stessa che fa da cornice alla vita sofferente di Camillo.

Ma la sensibilità e la percezione di se cambiano. E, dunque, cambia il risultato. Se la sofferenza di Marco è stata esorcizzata e rappresentata nel suo cinema, la sofferenza di Camillo non ha trovato una giusta via di fuga, creando un corto circuito che non solo non è stato avvertito da chi gli stava accanto, ma che si è rivelato detonante e irreversibile per la sua esistenza. Il senso di inadeguatezza nel continuo confronto con la famiglia ha portato Camillo ad una scelta dolorosa e violenta. Che ha lasciato, finalmente, quel segno che fino a quel momento faticava a tracciare nelle vite dei fratelli. Camillo Bellocchio, in fondo, rappresenta la nostra parte nascosta, quella parte, cioè, che cerchiamo di nascondere e che risponde ai nostri desideri più profondi. Quei desideri di libertà, di ribellione e di verità che ognuno di noi possiede ma che, spesso, cerca di tralasciare a favore di scelte più convenzionali e condivise da chi ci circonda, dalla nostra famiglia.

Insomma Marco Bellocchio rende giustizia “sentimentale” ad un fratello gemello che forse, all’epoca dei fatti, non ha saputo ascoltare ma che gli ha dato una potente ed inesauribile fonte d’ispirazione presente massivamente in tutta la sua cinematografia.

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RIVISTO

I PUGNI IN TASCA, di marco Bellocchio (Italia 1965, 105 min.).

Un capolavoro che a quasi sessant’anni dalla sua realizzazione risulta ancora innovativo e all’avanguardia. Un Bellocchio neanche trent’enne che confeziona un racconto famigliare che diventa manifesto anticipatore della contestazione sessantottina.

Uno spaccato denso e profondo dei rapporti famigliari e delle imposizioni sociali. Musicato da Ennio Morricone, la pellicola rimane una delle opere più significative del regista piacentino.

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