VISTO&RIVISTO Un toccante e sincero viaggio dentro la malattia

minchella zeller visto rivisto

di Andrea Minchella

VISTO

THE FATHER- NULLA E’COME SEMBRA, di Florian Zeller (The Father, Francia- Regno Unito 2020, 97 min.).

Un capolavoro. Che ci fa soffrire senza sconti. Florian Zeller porta sullo schermo la sua opera teatrale più potente e ribalta completamente il punto di vista sulla devastante malattia generativa che interessa una quantità di anziani sempre più nutrita. Florian mette in scena un dramma forte e angosciante che catapulta lo spettatore dentro la testa dell’anziano Anthony, il vecchio ingegnere inglese attorno al quale la vicenda si svolge. Il drammaturgo francese dichiara di aver pensato, per la trasposizione cinematografica, ad Anthony Hopkins: in effetti sembra che solo lui poteva vestire i panni di un anziano distinto che comincia a fare i conti con l’Alzheimer. Hopkins diventa Anthony, i suoi occhi si svuotano della vita e delle emozioni, e lasciano lo spettatore nudo ed indifeso davanti al dramma della malattia che, inesorabile, si prende tutto, dai mobili fino agli affetti più cari, che non possiamo più riconoscere e che non ci possono più aiutare.

La narrazione è un crescendo di ansia, angoscia e malinconia. All’inizio il vecchio Anthony sembra essere uno dei tanti anziani che ci capita di incontrare nella nostra vita. Poi, con lo scorrere del tempo, quell’anziano diventa sempre più vicino. Quell’anziano, ossessionato dal suo orologio che perde e ritrova cento volte in un giorno, inizia ad avere le sembianze di qualcuno che conosciamo. Più ci addentriamo nella vicenda, più ci sembra di conoscere il vecchio Anthony da molto tempo. Arriviamo ad un punto in cui noi spettatori diventiamo i figli dell’anziano ingegnere, che non distingue la figlia da una perfetta sconosciuta che dice di essere sua figlia. Le facce diventano nuove anche per noi, che assistiamo inermi ad una degenerazione emotiva che ci colpisce allo stomaco senza darci scampo.

Insomma “The Father” diventa il più grande “thriller” di tutti i tempi, perché non c’è paura più grande di perdere la coscienza di sé. La paura della morte, troppo generica e difficilmente spiegabile, diventa, qui, la concreta angoscia di perdere la memoria e di non riconoscere più ciò che ci circonda, o la paura di avere un padre o una madre che non ci riconoscano più. Florian riesce, in maniera magistrale, a raccontarci queste paure ancestrali usando un linguaggio ed uno stile nuovi ed efficaci. Ci fa capire davvero cosa vuol dire avere una confusione che, piano piano, si impossessa della mostra testa, portandoci via tutto quello che abbiamo amato e tutto quello che ci ha amato. Noi non assistiamo alle conseguenze devastanti della malattia, noi siamo la malattia.

La grandezza di certe opere risiede proprio nel fatto di mettere il punto di vista sulle emozioni dello spettatore. Se racconti di una malattia generativa, devi mettere in difficoltà, per primo, lo spettatore che, come Anthony, fa fatica a ricostruire le facce e le vicende che lo circondano. La grandezza di Zeller risiede proprio nella modalità con la quale ci racconta il dramma dell’Alzheimer. Solo Zeller avrebbe potuto trasformare in film la sua opera teatrale “Le Père” che ha girato tutti i teatri del mondo. Solo Zeller avrebbe potuto unire un Anthony Hopkins incredibilmente unico ed una dolce e potente Olivia Colman. Solo Zeller avrebbe potuto chiedere a Ludovico Einaudi di scrivere note che avvolgessero, quasi accarezzandole, le sequenze più crude e commoventi della pellicola.

Un’opera, dunque, necessaria perché ci racconta e ci ricorda di come la malattia degenerativa, per l’uomo, sia la pena più grande da sopportare. Un’opera, però, anche dolce e struggente che ci spiega, senza retorica, come il calore di un abbraccio sincero possa essere sempre e comunque l’unica traccia di luce nella mente buia ed offuscata di chi è malato e irrimediabilmente smarrito.

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RIVISTO

UNA SCONFINATA GIOVINEZZA, di Pupi Avati (Italia 2010, 98cmin.).

Il dramma della malattia tradotta in una lingua poetica e dolce. Pupi Avati decide di raccontare una coppia matura che affronta il dolore dell’Alzheimer. Lino, giornalista, si ammala proprio quando sembrava aver trovato una sintonia definitiva con la moglie Chicca che si ritroverà a dover accudire più ad un figlio che al marito che aveva scelto anni prima. Seppur con qualche sbavatura retorica stilistica, la pellicola tocca corde profonde dello spettatore, che assiste ad un amore senza limiti né barriere. Con un Bentivoglio superlativo.

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