Mozambico nella morsa del terrorismo

Duecento terroristi occupano la città di Palma. In pericolo investimenti occidentali per 150 miliardi di euro

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di Niccolò Meroni

L’ombra del terrorismo è tornata ad oscurare il panorama internazionale. Mercoledì 24 marzo, il gruppo islamico jihadista affiliato all’ISIS Ahlu al Sunna wa al Jamaa, noto anche come al-Shabab, ha attaccato ed occupato la città di Palma, nel nord del Mozambico, nella provincia di Cabo Delgado. Secondo le informazioni locali, circa 200 terroristi armati di fucili automatici e mortai hanno occupato i quartieri del centro abitato riservati agli uffici governativi e alle banche, paralizzando di fatto la città.

Bilancio dell’attacco: 55 morti e centinaia di feriti e sfollati. Alcuni abitanti della cittadina sono stati portati in salvo dalle navi dei pescatori, altri hanno trovato rifugio a nord, in Tanzania, oltre il fiume Rovuma, e a sud nella città portuale di Pemba. Alcuni residenti, soprattutto stranieri, si sono messi al riparo presso l’hotel Aamarula, dove hanno resistito allo stato d’assedio per giorni. L’attacco a Palma era prevedibile: nel 2017, sempre nella provincia di Cabo Delgado, al-Shabab aveva scatenato scontri armati con 2.600 morti e tra i 650.000 e i 700.000 profughi. L’azione terroristica aveva provocato una crisi umanitaria che tutt’oggi imperversa nel Paese.

L’etichetta “jihadista” non deve condurre a facili conclusioni. Come spesso capita, dietro le quinte di queste azioni dall’apparente matrice religiosa, si celano in realtà interessi economici dai riflessi internazionali: nella provincia di Cabo Delgado è presente un immenso giacimento di gas naturale. Numerose aziende petrolifere straniere, come l’italiana ENI, la francese Total e la statunitense ExxonMobil, sono presenti sul territorio con concessioni per lo sfruttamento delle risorse, per un giro d’affari che s’attesta intorno ai 150 miliardi di euro (Fonte ISPI). Si tratta dell’investimento internazionale più cospicuo presente in Africa. L’immediata conseguenza dell’offensiva è stata il blocco delle attività da parte di Total e il rimpatrio dei dipendenti.

L’attacco terroristico ha suscitato diverse reazioni. Il campanello d’allarme è suonato prorompente a Lisbona (il Mozambico è una ex colonia portoghese). Il Ministro degli esteri portoghese Augusto Santos Silva, preoccupato per la situazione dell’ex colonia, ha dichiarato: “Un team di circa 60 soldati portoghesi si sta preparando per partire verso il Mozambico per addestrare le forze speciali dell’esercito locale”. I militari portoghesi dovrebbero arrivare in Mozambico entro la metà di aprile. Lo stesso governo di Maputo si è mosso rivolgendosi a gruppi di contractor stranieri, come la Dyck Advisory Group (DAG), già schierata sul territorio. Anche gli Stati Uniti hanno annunciato la volontà di aiutare le forze governative.

Le circostanze attuali in Mozambico rimandano a quel paradigma che troppo spesso descrive la straziante condizione di diverse nazioni africane: l’ex colonia portoghese, indipendente dal 1975, è uno stato fragile, immobile ed incapace di sfruttare le proprie ricchezze naturali, diviso da fratture interne e alle dipendenze di capitali esteri. Il sogno di Maputo di poter essere indipendente sul piano economico si scontra con la dura realtà dei fatti: la popolazione continua a morire di fame, pagando inoltre il sanguinoso prezzo di soprusi e violenze.

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