Nasce il partito TtD: Tutti tranne Draghi

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di Luigi Patrini

Una classe politica costituita – pur senza generalizzare, ma bisogna avere l’onestà di riconoscerlo – costituita, dicevo, per lo più da personaggi che, ai tempi della Prima Repubblica, sarebbero stati di seconda o di terza linea, se non semplici portaborse o iscritti nelle liste di collocamento di qualche ente assistenziale, ha dunque inventato un nuovo partito, il TtD (“Tutti tranne Draghi”). Si tratta di un partito trasversale, di cui si possono capire le “ragioni”: se Draghi va al Quirinale la Politica dimostra il proprio fallimento. In realtà è proprio la nascita di questa potente lobby trasversale che mostra come la Politica sia già fallita e debba riscattarsi.

Draghi è un Politico, in realtà, molto più dei loquaci capipartito attuali. E come potrebbe non essere un “Politico” uno che ha guidato per 8 anni la Banca Centrale Europea e che ha lasciato un ricordo indelebile in quel “whatever it takes” passato ormai alla storia? Draghi sa parlare con chiarezza, sa tacere e sa parlare anche con cautela e riservatezza quando è opportuno, sa, soprattutto, “catalizzare processi”, la cosa di cui più c’è bisogno in un Paese democratico, in cui occorre ben altro che il semplice “consenso elettorale”, che è certo indispensabile, ma non basta: tanto più che, a parte l’attuale “larga maggioranza” che sostiene il Governo Draghi, le “maggioranze” che governano e hanno governato il Paese e gli Enti locali (Regioni e Comuni) in questi ultimi decenni sono maggioranze che corrispondono, in realtà, ad un quarto o poco più dei consensi “veri” dei cittadini, che in larga misura disertano, spesso superando la metà degli aventi diritto, i “ludi cartacei” elettorali.

Quello che la Politica non ha capito è che la Politica deve saper servire, facendo un passo indietro rispetto ai problemi presenti nella società; un passo indietro non per disertare la sua responsabilità, ma proprio per avviare processi di partecipazione attiva e di coinvolgimento delle numerose Forze Sociali presenti nel ricco tessuto di una società matura ed evoluita come la nostra, stimolandone le potenzialità, anziché subordinarle con piccoli benefit inutili e che sviliscono l’energia creatrice della società stessa. Qualche mese fa, quando Draghi ha iniziato la sua esperienza di Governo, avevo avvertito che le Forze politiche – sempre in lotta tra loro anche se alleate nel Governo – rischiavano di “regalarsi” reciprocamente Draghi. A distanza di mesi, riconosco che Draghi è rimasto sé stesso: la Destra non è riuscita a buttarlo nelle braccia della Sinistra e la Sinistra non è riuscita a regalarlo alla Destra.

Oggi da Destra e da Sinistra gli si rimprovera di non essere politico; si capisce bene perché: Draghi è rimasto sé stesso. Draghi non è alla ricerca di posti: non aspetta risposte dai partiti, perché non è lui a porre domande ai partiti. Certo anche lui, forse più di tanti cittadini oggi più attenti al calcio mercato che ai problemi “veri” del Paese, anche lui aspetta che i partiti decidano cosa vogliono fare. Credo che nei suoi colloqui di questi giorni con i leader politici il suo obiettivo sia davvero far capire a loro di essere “a disposizione delle Istituzioni”: certo è consapevole che in questo momento ci vuole l’unità del Paese, non del centrodestra, non del centrosinistra, ma l’unità dell’intero Paese, l’unità di tutte le forze politiche serie (se ci sono), che dovrebbero valorizzare quanto faticosamente questo Governo sta facendo. Non limitarsi a dire: “che bravo, Draghi! Resti lì! Lui è solo un tecnico”! Draghi è stato chiaro nella conferenza stampa di fine anno: sarebbe problematico avere oggi un Capo dello Stato eletto da una maggioranza diversa da quella del Governo in carica, senza un accordo preventivo tra le forze politiche. Questo vuol dire avere a cuore il bene del Paese, prima del bene proprio o di una sola area politica. Sarebbe il caso che la politica si decidesse ad avere una “P” maiuscola!

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