Partito democratico tra spifferi e correnti. Il caso Erica D’Adda

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“Il Pd punta sulla generazione Erasmus”. E’ il titolo di Repubblica che dà notizia dei quattro capilista under 35 scelti, a quanto pare, personalmente da Enrico Letta. Giovani che all’inizio del nuovo millennio erano poco più che ragazzini, oggi lanciati nella mischia pre elettorale con l’intento di svecchiare il Partito democratico, preparando il futuro. Operazione tutt’altro che peregrina, riproposta in diversi collegi con candidati della nuova generazione come, ad esempio, in provincia di Varese. Qui, nell’uninominale per la Camera del capoluogo, il Pd schiera Matteo Capriolo, 24enne consigliere comunale a Palazzo Estense, eletto con la bellezza di 450 e più preferenze. A Busto Arsizio, i dem danno spazio a Noemi Cauzzo, avvocato 30enne già candidata a Cocquio Trevisago, con esperienze politiche tutte da scoprire.

Ma non è questo il problema: son ragazzi, devono crescere, farsi le ossa e, se mai posseggano i necessari talenti, sentiremo di sicuro parlare di loro. Si chiacchiera tanto, spesso a sproposito, sulla necessità di fare largo ai giovani, finalmente qualcuno passa dalle parole ai fatti. Se non fosse che dietro la facciata fanno premio le abitudini di sempre, quelle di una politica del “tutto cambi affinché tutto resti come prima”. La conferma arriva proprio da Busto Arsizio, nel cui collegio elettorale, come si sa, era stata indicata Erica D’Adda, non proprio una di prima nomina, già senatrice, esponente della vecchia guardia piddina e, prima ancora, convinta rappresentante di sinistra. Insomma, un nome noto che, secondo i proponenti, avrebbe potuto ottenere un discreto risultato in un collegio da sempre nelle mani del centrodestra.

Annuncio dei candidati di prima mattina martedì, comunicato stampa che “silura” la D’Adda e la sostituisce con Noemi Cauzzo subito dopo mezzogiorno. Cos’è successo? Dal Pd non arrivano spiegazioni ufficiali, non c’è uno straccio di dirigente o di capataz locale che si premura di fare chiarezza, tutti intimoriti dalla mezza parola in più (“Sa, la campagna elettorale”). Telefonini muti o grande arrampicata sugli specchi per dire senza dire, dissimulare, rinviare, manzonianamente “sopire, stroncare”.

Gli spifferi però sono numerosi: Erica D’Adda paga l’appartenenza a una certa corrente interna, che risulta con un paio di candidature in eccedenza rispetto alle altre anime del partito. Necessario riequilibrare i pesi. Così si lavora di forbici, senza tanti complimenti. D’accordo, il ridotto numero dei posti a disposizione a causa dei tagli degli scranni operati dagli stessi parlamentari ha causato il patatrac interno, dicasi iraconde reazioni. Letta però si chiama fuori: “Il taglio dei seggi l’avete votato voi” dichiara sornione a deputati e senatori uscenti che non saranno più rientranti. Il caso D’Adda però è diverso, si rifà alla politica politicante, appunto . A quel modo di procedere che guarda molto alla forma poco, pochissimo alla sostanza. Nessuna novità sotto il sole piddino. Anche se poi è la stessa cosa da altre parti, metodi e decisioni sono uguali più o meno dappertutto, in senso trasversale. Il rinnovamento se c’è, quando c’è, è più che altro un’aspirazione promozionale, un obiettivo che illude: ci rivediamo il 26 settembre ad urne chiuse per fare la conta degli eletti. Se volete, possiamo già fare i nomi.

Nel frattempo, Erica D’Adda pubblica un lungo post su Facebook. Per dire cosa? Tutto e niente. O meglio, se leggiamo tra le righe qualcosa (tanto) si intuisce. Stralci testuali: “Non lo so neppure che cosa sia successo in queste ultime 24 ore, o forse sì ma non me lo ricordo… Ok, la mia candidatura non c’è più… E mi spiace davvero per tutte le telefonate, e i messaggi, per tutte le persone deluse. Mi pare quasi di averle deluse io. Però no, non è così. Questo non credetelo mai, chiunque ve lo dica… “.  Forse non c’è bisogno che “qualcuno ce lo dica”: l’abbiamo già capito da soli.

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