La politica è un’arte, non un mestiere

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di Luigi Patrini

Ho letto con interesse l’intervento di Gian Franco Bottini su “Candidati sindaci, avanti le seconde scelte”. L’interesse è determinato soprattutto dall’attualità del tema; le osservazioni di Bottini sono condivisibili, perciò non le riprendo, ma ne traggo spunto per approfondirle un poco, perché constato anch’io come vi sia un diffuso sentimento di anti-politica, che sempre più sta prendendo piede e determina una sorta di circolo vizioso da cui è sempre più difficile uscire: cresce il disprezzo per la politica, la classe politica appare sempre più squalificata e questo aumenta ulteriormente il disprezzo della politica, e via all’infinito…. Occorre spezzare questo circolo perverso e dannoso per la società, che altera il buon ragionare e la capacità di affrontare la realtà.

La politica appare sempre meno quell’“arte nobile di creare amicizia in città” di cui parlava il grande Sant’Ambrogio, vescovo e uomo con grande sensibilità per la polis; è dalla sua scuola che il pensiero cristiano ha tratto molto, anche nel campo della concezione culturale della politica: da anni ormai i Suoi Successori sulla cattedra di Milano, alla vigilia della Festa liturgica a Lui dedicata, hanno la consuetudine di rivolgere un significativo “discorso alla città”.

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Luigi Patrini

Il Cardinale Montini, divenuto Paolo VI, diede della politica una definizione splendida, che sarebbe opportuno approfondire nel testo latino da Lui usato. Nella Lettera apostolica Octogesima adveniens (1971) Egli parla della politica come di “una maniera esigente – ma non la sola – di vivere l’impegno cristiano al servizio degli altri”. Il testo latino suona così: “Ars politica difficilem severumque modum praebet – non tamen unicum – servandi grave illud officium, quo christianus homo aliis inservire tenetur”. Davvero interessante quell’ “illud officium quo christianus homo aliis inservire tenetur”: “quel dovere dal quale il cristiano è tenuto ad essere a servizio degli altri”, espressione che la traduzione italiana ufficiale non rende forse adeguatamente in tutta la sua forza. La politica, per il cristiano, dovrebbe essere proprio “quel dovere al quale l’uomo alla sequela di Cristo è tenuto (quindi è “obbligato”) a porsi a servizio degli altri”. Alla politica non ci si può sottrarre, perché anche il disinteresse per la politica è, in fondo, una drammatica ma vera scelta politica, magari auspicata da chi si impegna in politica con cattive intenzioni, perché così i “migliori”, i più onesti e sensibili, se ne stanno a casa in pantofole!

L’etica cristiana è sintetizzata nel titolo stesso dell’opera notissima di Tommaso da Kempis, un monaco tedesco vissuto tra il XIV e il XV secolo, autore dell’“Imitazione di Cristo”. Proprio prima della Sua ultima cena, dopo aver lavato i piedi ai suoi discepoli, Gesù disse loro: “Vi ho dato l’esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi” (Gv. 13, 15). Noi cristiani tante volte abbiamo tradito il mandato del Maestro (il fatto che i non-cristiani abbiano spesso fatto molto peggio non ci giustifica certo), ma la Chiesa ce lo ricorda continuamente e con la Sua Dottrina sociale ci aiuta a riflettere e a formulare proposte e programmi atti a dare risposte concrete e giuste al desiderio di giustizia e di pace che anima il cuore di credenti e di non credenti, accomunati tutti dall’aspirazione ad una società fraterna e capace di rispettare la dignità di ogni uomo.

Principio fondamentale di questa dottrina è il primato assoluto della persona umana: da tale principio, che riconosce come la vera sorgente della nostra dignità sia il nostro essere stati modellati a immagine e somiglianza di Dio, scaturiscono tutti gli altri.

Al di fuori di questa prospettiva la politica diventa l’arte di avere il potere: tentazione terribile alla quale satana sottopose lo stesso Figlio di Dio. Ma il “potere”, come già le maestre ci insegnavano un tempo, prima che un sostantivo che inebetisce i deboli, impariamo a considerarlo quello che realmente è: un semplice “verbo servile”! Vedere persone incompetenti che aspirano al potere, partiti con una lunga storia che cercano alleanze con forze che sono l’esempio più significativo dell’”anti-politica” è davvero deprimente, perché anche questo contribuisce a imbarbarire il sistema dei rapporti sociali.

Avremo la forza di reagire e rompere una buona volta questo perverso circolo vizioso? Ciò di cui più si avverte la mancanza è un popolo: il popolo non esiste più, purtroppo, perché l’individualismo e il consumismo dilaganti ci hanno trasformati da persone in individui, da popolo in massa. Il dilagare della comunicazione con i social media sta uccidendo a poco a poco anche il dialogo, che è lo strumento principale del confronto e della comunicazione tra persone desiderose di tornare ad essere un popolo vero, cioè un popolo che ama la sua storia, che vive con saggezza i valori della sua tradizione, e si preoccupa seriamente del futuro dei suoi figli e dei suoi nipoti.

La pandemia da cui stiamo forse uscendo avrebbe potuto essere una buona occasione per riscoprire il valoro del dialogo e del confronto tra noi e con gli altri. Forse non tutto è perduto, forse c’è ancora tempo per evitare che l’occasione vada persa del tutto e per sempre. Diamoci da fare! C’è un lavoro per tutti e per ciascuno: ognuno si assuma il suo.

Candidati sindaci, avanti le seconde scelte

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