Letta, il ddl Zan e una domanda: la coscienza c’è ancora?

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di Luigi Patrini

Il “cuore” dell’uomo, di ogni uomo, è la sua coscienza. La coscienza è il sacrario più inviolabile che ci sia: per questo credo che la “spia” più significativa della crisi odierna della democrazia sia la violazione sistematica che si attua della libertà di coscienza.

Giustamente la nostra Costituzione sancisce il principio del “senza vincolo di mandato” per chi siede in Parlamento: “ogni eletto esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato” (art.67). L’assenza di vincolo di mandato rende legittimo il fatto che un Parlamentare, una volta eletto, possa cambiare partito: l’eletto infatti “rappresenta la nazione”. Se chi lo ha eletto non approva questa scelta, alle successive elezioni ovviamente non lo voterà più e il partito che lo aveva candidato non lo candiderà più! Tutto finisce lì!

Edmond Burke, uomo di cultura e politico inglese, nato in Irlanda e fortemente influenzato dal pensiero cattolico dei suoi conterranei, già sul finire del 18^ secolo disse che “Il Parlamento non è un congresso di ambasciatori di opposti e ostili interessi, che ciascuno deve tutelare come agente o avvocato; il Parlamento è assemblea deliberante di una nazione, con un solo interesse, quello dell’intero”. La guida, nel prendere le decisioni, dovrebbe essere non l’interesse di parte, ma il bene generale dell’intera comunità nazionale!

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Luigi Patrini

Mi ha francamente sorpreso il fatto che la stampa abbia dato risalto alla pressione esercitata da Enrico Letta sui senatori del PD perché approvino il ddl Zan “così come è”, senza introdurre modifiche. E’ noto che alcuni senatori (Marcucci, Valente, Fedeli, Collina e forse anche altri) vorrebbero delle modifiche ad un testo che suscita molte e serie perplessità. Ma Letta, pur proveniente dal mondo cattolico, impedisce la legittima espressione delle loro perplessità: come siamo lontani da quel “Non la penso come te, ma darei la vita perché non ti sia impedito di dire il tuo pensiero!” di quel grande miscredente che era Voltaire! Letta sa bene che San Tommaso Moro, patrono dei politici, è stato decapitato nel 1535 perché ha voluto difendere le convinzioni profonde della sua coscienza. Il grande John Henry Newman, anglicano e convertitosi al cattolicesimo, beatificato da Benedetto XVI e proclamato santo da Papa Francesco, arrivò a dire che “la coscienza è il primo Vicario di Cristo”, proprio perché è nella coscienza che l’uomo riconosce la Verità o meno delle sue convinzioni.

Il primato della coscienza è un bene prezioso non solo per i cattolici, ma per ogni uomo serio e rispettoso del bene comune. Questo non è qualcosa di astratto e teorico, ma è concretamente connesso con la necessità di salvaguardare la libertà della singola persona, che è il soggetto titolare di ogni diritto autentico (non a caso il grande Antonio Rosmini definiva la persona come “il diritto sussistente”, quasi a dire che la persona non “ha” diritti, ma “è”, essa stessa, il diritto reso visibile, concreto e tangibile!), con il dovere di creare le condizioni perché tale rispetto sia garantito a ogni persona, quali che siano il suo sesso, la sua cultura, la sua intelligenza, l’orientamento politico, la fede religiosa e quant’altro.

Rispettare la coscienza è fondamentale perché, come dicevo sopra, la coscienza è il “luogo” nel quale la Verità si rivela e si mostra. Il dramma del nostro tempo – anche per il mondo della politica – è che non si riconosce neppure l’esistenza della Verità. Ma se tutto è opinabile, è opinabile anche che tutto sia opinabile: se non c’è nulla di solido su cui costruire, saremo costretti a stare sulla fragile barchetta ondeggiante delle nostre opinioni e non costruiremo nulla di duraturo. E’ decisivo riconoscere che la coscienza di ogni uomo ha a che fare – per sua stessa natura – con la questione della verità. Ancora una volta occorre rievocare la domanda drammatica – quasi una riflessione a mezza voce – fatta da Pilato all’Uomo che aveva davanti: “quid est veritas?”, cos’è la verità? Cristo non risponde: è l’uomo Pilato che deve trovare in sé la risposta.

La coscienza viene al centro del dibattito filosofico già nella filosofia greca; fu Socrate a scoprirne l’importanza: egli parlava della “voce di un demone” che lo approvava, quando faceva qualcosa di buono, e lo disapprovava, quando si comportava male. Un modo quasi poetico per dire che la coscienza, l’interiorità dell’uomo, è il luogo dove la verità divina si rivela e si manifesta.

Questo è importante perché riconosce all’uomo la capacità di porsi in rapporto con una verità che non “dipende” da lui, ma, che egli è capace di riconoscere: la coscienza è dunque il luogo dove la verità si rivela e l’uomo deve “riconoscerla”. Riconoscere è un verbo molto significativo, perché indica che c’è nell’uomo un luogo privilegiato in cui egli stesso può prendere coscienza della propria dignità: egli non è solo un animale che sente caldo e freddo, che riconosce i colori e gli oggetti esterni, ma che possiede in sé una sorta di “spia” che sa apprezzare impalpabili valori etici e, riconoscendo ciò, potrebbe anche sperimentare una “riconoscenza”, cioè una “gratitudine” che lo spinge ad agire con bontà e tenerezza verso gli altri.

Se uno dei problemi fondamentali della democrazia è rispettare la coscienza, è chiaro che per colui che rispetta la coscienza si pone inevitabilmente il problema di superare il relativismo e il nichilismo oggi imperanti, per porsi alla ricerca di una Verità oggettiva che la Natura, con il suo ordine e la sua regolarità, ci dice non essere né creata né manipolabile dall’uomo!

La coscienza non è il luogo del capriccio o dell’arbitrio, dell’opinabilità o della stramberia, della stravaganza o dell’irragionevolezza, ma dell’incontro con la Verità e, quindi con l’unica possibilità di essere veramente liberi, cioè capaci di conoscere la realtà vera e di provare profonda “riconoscenza” per il grande dono che essa è per noi.

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