Pedemontana incompiuta, paga il territorio

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La sentenza di morte per Pedemontana, pronunciata martedì 11 settembre in commissione Ambiente alla Camera dal ministro dei Trasporti Danilo Toninelli, avrebbe dovuto provocare la sollevazione 1) della Lega, che attorno a questa importante infrastruttura stradale e alle collaterali tangenziali di Varese e Como ha investito molto più di semplici promesse; 2) della Regione Lombardia, promotrice dell’intervento e cabina di regia, seppure indiretta, delle farraginose procedure per la realizzazione della nuova autostrada; 3) del sistema economico di una vasta area che comprende Novarese, Alto Milanese, Varesotto, Brianza, Comasco e, naturalmente, Milano, area ad alta densità industriale che paga e pagherà gli effetti negativi della possibile quanto probabile incompiuta; 4) di Malpensa, aeroporto che con la Pedemontana a regime beneficerebbe di collegamenti stradali più veloci sia per quanto riguarda una parte dell’hinterland milanese sia verso i territori ad Est di Milano; 5) degli amministratori locali che lamentano da tempo l’insostenibilità del traffico su alcune delle principali arterie che attraversano i loro Comuni: basti pensare, ad esempio, alla cintura milanese o all’intasamento dell’Autolaghi. Motivi sufficienti per contestare duramente Toninelli e chi, del gruppo pentastellato che esprime il ministro, si dichiara contrario al completamento di Pedemontana e alle grandi opere in genere.
Il discorso che ci riguarda è però circoscritto all’autostrada realizzata a metà, anzi, meno della metà: da Busto Arsizio fino a Lentate sul Seveso. Per prolungarla secondo il progetto originario, e raggiungere così la zona di Dalmine e, quindi, innestarla alla Milano-Venezia, servono soldi, tanti soldi, che Toninelli nega: “Il governo, questo governo – dice – non scucirà nemmeno un euro”. Non solo: Varese e Como si scordino di eliminare il pedaggio sulle loro tangenziali, anch’esse da terminare, anch’esse oggetto di inequivocabili pronunciamenti in campagna elettorale. Ma qui, di inequivocabile, ci sono soltanto le parole del ministro.
Il resto è ancorato alle difficoltà legate al closing finanziario, alle vicende giudiziarie scaturite dalla risoluzione del contratto con Strabag, la ditta appaltatrice, agli inutili (almeno sinora) tentativi di aumento di capitale della società che gestisce l’autostrada, ai preventivi astronomici per bonificare i terreni dalla diossina a Seveso, dalle scarse, scarsissime entrate dovute ai bassi livelli di traffico su quanto è già funzionante, ai dubbi di regolarità sollevati dai Cinque Stelle circa la revisione del progetto, alle compensazioni ambientali chieste dalle singole amministrazioni. Punto. E meno male, perché ce n’è a sufficienza per perdere la bussola rispetto a uno scenario tutt’altro che rasserenante, che, comunque lo si affronti, prevede soluzioni, se mai ci saranno soluzioni, soltanto a lungo termine.
I silenzi che accompagnano le dichiarazioni di Toninelli fanno pensare a una doppia impasse, tecnica e politica attorno alla A36. Tecnica, per tutti i problemi procedurali, finanziari, giudiziari e di merito e al fatto che, stando così la situazione, non si sa più quali pesci pigliare. Politica, per gli intrecci tra i partiti, per le alleanze romane nell’esecutivo gialloverde e le conseguenti necessità di non urtarsi in periferia, dove le coalizioni sono peraltro di segno diverso. Così berciano soltanto gli esponenti del Partito democratico, ma, seppure vadano loro riconosciute diverse ragioni rispetto al tema, finiscono per berciare alla luna, data la loro attuale, scarsa forza di interlocuzione. E per Pedemontana, da qualunque parte la si prenda, il futuro appare assai incerto. Meglio così, perché se fosse ben tracciato sarebbe un futuro prossimo al fallimento. Per il quale sconterebbero i costi il territorio e la sua economia.

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