Covid-19, una matematica asservita alla paura. Siamo seri e camminiamo diritti

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Giuseppe Remuzzi

di Ivanoe Pellerin

Cari amici vicini e lontani, confesso di non riuscire più a sopportare le comparsate, le interviste, le dichiarazioni degli ottimi virologi, epidemiologi e infettivologi nelle quali inciampo in ogni momento. TV, radio e giornali ne sono pieni. In qualsiasi trasmissione radiofonica o televisiva, con una puntualità che non ha eguali, ascolto o vedo lo studioso di turno che, con fare convinto e compassato e volto severo, esprime tutta la sua preoccupazione per la diffusione del terribile virus. I numeri arrivano a ondate successive e poi scale e diagrammi e linee ispirate al profilo delle Alpi. E quando sono in diminuzione in realtà devono essere comparati con altri numeri che ne sottolineano l’aumento. Non c’è scampo. È una matematica asservita alla paura. E a proposito di ondate sembra di essere sul mare in tempesta. Aspettiamo con ansia la seconda ondata. Ma già pensiamo alla terza. Non oso immaginare la quarta.

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Ivanoe Pellerin

Non so voi ma io proprio non ce la faccio più. Questo clima fuligginoso di sciagura incombente, di disastro vicino, di calamità annunciata mi toglie il fiato, mi impedisce di pensare con qualche lucidità, mi spinge ad aprire la finestra e a guardare un orizzonte pieno di luce dove il sole gioca bene la sua parte di primo attore con le nuvole svogliate e in ritardo. Proprio ieri mi stavo rovinando l’entusiasmo per la bella giornata quando mi è caduto lo sguardo (e vi prego di credermi, mi è proprio caduto) sull’intervista al professor Giuseppe Remuzzi, medico di fama internazionale, proposta dal Corriere della Sera del 4 settembre, a pagina 4. Ho iniziato a leggere un po’ svogliato e perplesso ma subito si è acceso l’interesse che mi ha portato a divorare l’articolo. Rincuorato dalle parole dello scienziato ho riguardato il panorama illuminato da una luce più accesa e ho sorriso. Scusandomi per chi avesse letto l’articolo, ho la voglia di riassumere la sostanza delle parole riportate.

Finalmente un po’ di chiarezza: è improprio parlare di altre eventuali ondate poiché siamo entrati nella fase della sorveglianza, cioè della ricerca dei contatti dei positivi. Ciò vuol dire che ora si cerca di circoscrivere i possibili focolai. Il professore ricorda che i positivi non sono malati e che più ne cerchiamo più ne troviamo. È normale. I test che possiamo svolgere sui tamponi sono in grado di rilevare anche le tracce del DNA del virus ma, se parliamo di tracce, queste non sono in grado di infettare.

Remuzzi sottolinea uno studio molto interessante pubblicato su una nota e importante rivista scientifica. Secondo questo studio degno di fede, tutte le vaccinazioni precedenti, ma proprio tutte compresa quella antinfluenzale “tradizionale”, ovviamente per chi le ha fatte, creano una sorta di lieve protezione di fronte alla minaccia del Covid che si estende nel tempo. Sono più efficaci quelle somministrate negli ultimi cinque anni. Sarà vero? Lui dice di sì.

Remuzzi è favorevole ai tamponi fatti solo “dove servono”. Dice: “Facciamoli in modo mirato negli ospedali, nelle RSA, tra i lavoratori del trasporto pubblico e tra gli insegnanti. Facciamoli in modo mirato e non indiscriminato”. Ricordando che abbiamo ottomila posti di terapia intensiva e che in questo momento ne abbiamo occupati poco più di cento, il numero è di certo molto confortante. Se anche questo terribile numero salisse diciamo a cinquecento (cosa che nessuno si augura) saremmo ancora a meno del 5% delle risorse a nostra disposizione. Il sale dell’intervista è lo sforzo del professore a diminuire la paura e l’emotività e quindi il panico di fronte a possibili diversi scenari che, al momento, non sono prevedibili. Anche il numero degli operatori della sanità è per fortuna in aumento e, nel campo dell’assistenza, questo è un dato fondamentale e molto consolante. Quindi oggi siamo più preparati e soprattutto abbiamo acquisito quelle conoscenze che ci permettono di guardare all’infezione con più ottimismo e di pensare alla guarigione con più fiducia.

“Oggi i dati ci dicono che il rischio di infettarsi è simile a quello di cadere in motorino e minore di quelli che si corrono durante un’immersione subacquea”. Ovviamente secondo lo scienziato, l’attenzione e la prudenza non devono diminuire. Le regole valgono anche di più: mascherine, distanziamento, corretti comportamenti. Dobbiamo avere la giusta percezione del pericolo ma non l’affanno o il panico. Le scuole riaprono ed è probabile che alcune chiuderanno. Va bene, fa parte del periodo della sorveglianza al quale si accennava. Osserviamo le direttive, quelle giuste dettate dagli organi preposti alla salute, ma da uomini liberi, non da schiavi, con un importante, fondamentale riferimento alla responsabilità personale. Per chi, come me e credo come tutti voi, crede nei valori e nei diritti della persona, queste parole sono decisamente da sottolineare con la matita rossa.

Cari amici vicini e lontani, cerchiamo di essere seri e teniamoci da conto come persone che sano valutare i rischi ed i pericoli che la vita, direi tutta la vita, distribuisce sul nostro sentiero. Non dobbiamo camminare da incerti, da claudicanti, da malfermi, accecati dall’emozione che travolge ed offusca, ma da uomini senza paura, liberi e fieri che sono consapevoli e che sanno affrontare gli azzardi che l’esistenza sempre e ovunque propone. A buon fine sempre.

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