Pranzo non pagato e il “circo mediatico” assedia la pizzeria Capri a Busto

busto capri media
Il ristoratore Luigi (Gino) Savino

BUSTO ARSIZIO – Se è vero che tutto fa brodo, allo stesso modo tutto fa notizia. Ne sa qualcosa Gino Savino, titolare della pizzeria Capri di Busto Arsizio, finito al centro di un clamore mediatico inaspettato e sorprendente per una vicenda che, a guardar bene, è più prossima al chiacchiericcio, all’anedottica di costume, piuttosto che alla cronaca giornalistica. Eppure, giornali, televisioni e radio, locali e nazionali, lo stanno letteralmente stalkerizzando da quando si è saputo che una famigliola furbacchiona (e ladra) ha abbandonato il ristorante bustocco, dopo aver consumato plateau di pesce crudo e quant’altro, senza pagare il conto.

La scusa della sigaretta

Lui, Gino, se l’è giustamente presa a male, anche per il fatto che simili episodi sono reiterati nel tempo. Normale? Mica tanto. Tanto più per la destrezza dei protagonisti dell’ultima fuga: con la scusa di fumare una sigaretta, padre madre e figlia, sono usciti dal locale e, ciao ciao. Sentitosi buggerato e al colmo della rabbia, il ristoratore ha affisso un cartello in cui si invitano i clienti che lasciano il posto a tavola per una sigaretta a consegnare un documento di identità alla cassa. Provvedimento drastico, ritenuto però indispensabile per arginare il fenomeno. Che ha forse origini nell’indigenza diffusa, ma non solo.  E non dobbiamo spiegare a quale peggior istinto ci riferiamo. Sempre che non sia soltanto goliardia: ricordate “la corsa” di Leonardo Pieraccioni in un “Fantastico via vai”, che ripropone la stessa scena di un altro mitico film del regista toscano, “I laureati”? Il gruppo di commensali che se la dà a gambe levate, inseguito dal cameriere. Mera comicità, si dirà.

Nessuno tutela

Chi non ride è però Gino Savino. Non tanto per l’episodio in sé, quanto perché al di là del circo mediatico che lo assedia, nessuno pare abbia colto il nocciolo della questione: “Se c’è chi non paga, come posso difendermi”? domanda il noto esercente, riferendosi al fatto che non esistono vere tutele per i ristoratori vittime degli avventori disonesti. Figurarsi le complicazioni legali se si presenta denuncia, l’avvocato, le lungaggini procedurali, i tira e molla giudiziari che allungano i tempi per riavere il dovuto. Più la spesa che la resa, insomma. A fronte di una riforma Cartabia che ha reso meno efficace la repressione dei reati minori. Cosicché anche le forze dell’ordine, a volte, intervengono controvoglia. E con effetti dissuasivi piuttosto laschi.

Fatti dilatati

Insomma, difficile porre rimedio al problema. Rassegnarsi, però, mai. Savino ne è convinto. Lo ripete ai giornalisti che si presentano a raffica in pizzeria, alle troupe televisive, ai conduttori di radio che gli telefonano: “Servono salvaguardie”. In campo dovrebbero scendere le associazioni di categoria, tanto per cominciare. Ma per il momento si fanno vivi soltanto i media, con insistenza e superficialità, pronti a dilatare i fatti e a sfruculiare persino sul nulla pur di raccontare una storia che non sembra neanche una storia, che però fa audience e scuote gli animi fragili della vasta platea assetata di curiosità, attorno alla quale parlare e, nel caso, sparlare. Infischiandosi del merito e – non in questo frangente – senza preoccuparsi della veridicità delle informazioni che passano. Tanto nessuno ne chiederà mai conto. In senso figurato e in maniera concreta. A proposito del conto: nel film di Pieraccioni, la somma del pranzo non pagato era di 198 euro. Come la cena “zanzata” al Capri. Vedi a volte le coincidenze…

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