Quale futuro per la religione

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Luigi Patrini

di Luigi Patrini

La religione avrà un futuro? Quale sarà? E la Chiesa Cattolica, avrà anch’essa un futuro? Difficile rispondere a domande così impegnative. Verrebbe da dire che sì, la religione avrà un futuro, perché, se neppure le dittature comuniste sono riuscite a distruggerla, se neppure Nietzsche,il teorico della “morte di Dio”, è riuscito a screditarla agli occhi del nostro tempo, se – come mi diceva con ironia un amico sacerdote che ha lavorato per anni in Vaticano – “neppure i preti e i cardinali sono riusciti a farla scomparire”, allora vuol proprio dire che l’uomo non può davvero fare a meno di una fede religiosa, perché la sua stessa natura ha un bisogno strutturale di credere, cioè di
“affidarsi” a Qualcuno o a qualcosa per cui ultimamente valga la pena di vivere.

Queste domande mi hanno sollecitato a partecipare con attenzione all’interessante incontro promosso il 31 gennaio dal Centro Culturale Tommaso Moro di Gallarate sul tema “Essere cristiani in Cina oggi”. Il relatore, un sacerdote della nostra diocesi ambrosiana, don Carlo D’Imporzano che risiede in Cina da quasi venti anni, è stato particolarmente efficace nel presentare l’attuale situazione dei cristiani in Cina e a tratteggiare le questioni più complesse che caratterizzano un contesto culturale tanto diverso da quello in cui il Cristianesimo è nato e si è sviluppato.

Documenti della presenza cristiana in Cina si hanno fin dal VI secolo; reperti archeologici attestano la sua provenienza dalla Persia; alterne vicende, ora favorevoli ora negative per la sua diffusione, ne hanno consentito una presenza a macchia di leopardo nell’immenso Paese asiatico. Decisiva fu l’esperienza del Gesuita padre Matteo Ricci che, sul finire del XVI secolo, entrò nel Paese e ne studiò a fondo la cultura. Con genialità, imparandone la lingua e approfondendo la conoscenza della scrittura ideogrammatica e di diversi logogrammi antichi, egli comprese a fondo che la cultura cinese aveva una grande apertura ad accettare la religione cristiana. Ciò spiega perché, nonostante l’avversione verso lo straniero, la presenza cristiana non sia mai venuta meno in Cina. Negli ultimi secoli, tuttavia, soprattutto le vicende connesse con il colonialismo franco-inglese e tedesco del XIX secolo (ricordiamo la famosa rivolta dei Boxer nella primavera del 1900, che vide coinvolto anche un contingente militare inviato dall’Italia) spinsero i Cinesi a percepire il cristianesimo come una religione straniera e imposta con la forza; ciò spiega il diffondersi di sentimenti anche di rigetto e di avversione nei confronti di chi aveva accettato di praticare questa religione.

L’incontro ha offerto la possibilità di conoscere meglio l’accordo che suscita ancora tante perplessità raggiunto recentemente tra La Chiesa e la Repubblica Cinese: il tema più controverso è quello legato all’esistenza di una Chiesa clandestina accanto ad una Chiesa detta “patriottica”. Un Paese grande e popoloso come la Cina tende inevitabilmente ad avere la necessità di tenere sotto controllo i propri cittadini. Per questo il potere politico cinese, come è avvenuto anche in altri Paesi, ha favorito il formarsi di una chiesa nazionale “patriottica”, sostenendola non tanto per un ossequio alla fede religiosa, ma per avere un ulteriore strumento di controllo del popolo; accanto a questa chiesa “di Stato” c’è una chiesa clandestina, fedele al Papa di Roma. La convivenza tra le due comunità cristiane appare generalmente abbastanza tranquilla o, per lo meno, meno difficile di quanto le semplificazioni dei media potrebbero far credere.
Il vero problema è costituito dal fatto che i vescovi della chiesa patriottica sono scelti dal Governo senza alcun accordo con il Vaticano, considerato una “Potenza straniera”: questo è il vero nodo da sciogliere, perché è legittimo che il potere voglia interloquire con vescovi che non siano in opposizione agli interessi della nazione, ma anche la Chiesa Cattolica pretende che i vescovi siano in sintonia e in comunione con il Papa. E’ dunque positivo che sia stata raggiunta un’intesa tra le due Autorità: tale intesa tranquillizza il potere politico e garantisce alla Chiesa l’unità (“Sono due comunità – ha detto recentemente il Cardinale Parolin, Segretario di Stato del Vaticano – ma una
sola Chiesa”).

L’accordo è definitivo? Si spera. Come matureranno le situazioni? Si vedrà! Il momento è certo difficile: la Chiesa cattolica – vivendo con coerenza la distinzione fra “ciò che è di Dio” e “ciò che è di Cesare” – reputa necessario il rispetto reciproco nella “distinzione” (che non
è “contrapposizione”) dei due ambiti politico e religioso. E’ un problema antico: già Tertulliano, vissuto tra il II e il III secolo,
di fronte alle persecuzioni imperiali, scriveva a Scapula, un alto funzionario imperiale : “Rispettiamo l’imperatore nel modo che a noi è lecito e che a lui conviene, cioè come un uomo secondo dopo Dio. E qualunque cosa egli è, questo egli ha ottenuto da Dio, minore, tuttavia, a Dio solamente. L’imperatore stesso vorrà questo, giacché egli è maggiore di tutti in quanto è inferiore solamente a Dio”
. Bisognerà vedere se questo, che non è mai bastato né agli imperatori romani, né ai dittatori dei tempi moderni, sarà sufficiente per le autorità cinesi.
La Chiesa si rende ben conto della complessità dei problemi che il cittadino cattolico incontra nel vivere la sua appartenenza civile a uno Stato e in genere tende a stipulare accordi bilaterali, i cosiddetti “Concordati”. Oggi la Cina è una grande superpotenza e anche con questo grande Stato la Chiesa vuol fare i conti. L’accordo stipulato recentemente ha fatto molto discutere, perché il Papa ha “perdonato” alcuni vescovi scelti dal Potere politico senza accordo con il Vaticano, nominandone alcuni alla guida di alcune diocesi. Perché il Papa li ha perdonati? Perché li ha in qualche modo legittimati con la conferma alla guida di alcune diocesi? Perché i contenuti dell’accordo sono
rimasti segreti? Alcuni vescovi della Chiesa clandestina hanno criticato l’accordo: perché, nonostante ciò, Papa Francesco l’ha avvallato?

Nel grande “cambiamento d’epoca” che stiamo vivendo, il Papa ha accettato la sfida e ha accettato di essere oggetto di critica anche da alcuni dei suoi più stretti collaboratori: anche questo può capitare in una Chiesa che sia veramente “in uscita”. Nel corso della serata si è visto il momento in cui Papa Francesco, durante l’omelia nella celebrazione liturgica del 3 ottobre scorso, con commozione e con profonda partecipazione, con un evidente groppo in gola, ha commentato la partecipazione al sinodo dei giovani di due vescovi cinesi: “Oggi – ha detto – per la prima volta, sono qui con noi anche due confratelli vescovi dalla Cina Continentale , diamo loro il nostro caloroso benvenuto”.

Nessuno come Papa Francesco e pochi Suoi collaboratori ha compreso fino in fondo la portata di questa scelta storica. Il momento è certo difficile, la svolta storica è forse un po’ pericolosa. Speriamo di vedere presto quegli elementi di novità che ci permettano di capire
meglio quale potrà essere il futuro della Chiesa nel mondo globalizzato e dominato da quel “nichilismo” gaio che lo sta distruggendo. Riusciremo a intuire in che modo Colui che guida la storia sceglierà – ancora una volta – di manifestare la Sua vittoria?

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