Salvini a Pontida lancia il rush finale: «Con Giorgia e Silvio governeremo 5 anni»

PONTIDA – Le bandiere. Ci sono le bandiere: quelle (tante) con su il Leon, il Leone di San Marco; quelle (una ventina) con l’aquila gialla su sfondo blu del Friül, del Friuli. C’è anche un Sole della Alpi gigante che sventola alle spalle del popolo leghista e una rossa con l’aquila a due teste della Grande Albania. Non ci sono elmi con le corna e nemmeno barbare barbe. Ci sono i leghisti: veneti, friulani, liguri, piemontesi. Pontida è tornata dopo uno stop di due anni e a sette giorni dal voto politico del 25 settembre.

Certamente, non mancano i lombardi. Tutti lì a celebrare il rito del pratone di Pontida. A sette giorni dalle urne, un giro elettorale che assomiglia a uno spartiacque. E che potrebbe segnare il ritorno della Lega al governo in una coalizione di centrodestra, ma anche la resa dei conti interna. Ma oggi, domenica 18 settembre, a questo non si pensa. Perché qui, dopo due anni di pandemia, si sono dati appuntamento i leghisti: quelli salviniani e quelli giorgettiani (Il ministro di Cazzago Giancarlo Giorgetti c’è, zoppica per il mal di schiena, ma sale sul palco). I veneti di Zaia e i friulani di Fedriga. Governatori che con Attilio Fontana scaldano il pratone. Ci sono i piemontesi, gli umbri. E le regioni che mancano di uomini sul prato hanno un gazebo segnaposto a dimostrare che la Lega è sì Lombarda, Veneta, Piemontese, ma ormai è italiana.

Sono in tanti. Magari non tanti come qualche anno fa, ma tanti. E sono tutti qui per la Lega. Ma soprattutto per cercare risposte che non sempre sono arrivate. Per fiutare l’aria. Ma anche per capire cosa succederà dopo il 25 settembre. «Vincerà la Meloni. E a me non spiace», dice un veneto che aggiunge: «Di lei mi fido. Non è lei che mi preoccupa, sono i suoi».

Dall’Umberto al Matteo

Tirare le fila con il passato e con il presente. Con quelli che sono “nati” con Umberto Bossi e quelli che la “politica è solo secondo Matteo”. Generazioni che magari fanno fatica a riconoscersi perché tutto è cambiato, ma che si toccano, si accendono e si ritrovano quando sentono parlare di «autonomia»; di «lavoro e posti di lavoro. Non reddito di cittadinanza»; di «padroni (o “paroni” come ha detto Luca Zaia) a casa nostra». Partono gli applausi, il nome del leader di turno al comizio viene urlato fino a farlo salire in cielo, il cuore ha un sussulto, ma chissà se davvero, tutti, in tanti ci credono ancora. Sì, qualcuno ci crede, certo che ci crede, e lo dice: «Ma questo è l’ultimo giro – confida un leghista – andiamo al governo e portiamo a casa i risultati. Altrimenti con la politica chiudo».

Il rush finale di Salvini

Salvini è l’ultimo a salire sul palco. Lo prevede la liturgia. Prima si avvicendano i giovani, i segretari e commissari di sezione, i sindaci e gli amministratori, i ministri, i capigruppo a Camera e Senato, gli europarlamentari. E poi arriva lui, il capitano. Discorso senza sorprese, «perché oggi è una festa. Siamo in centomila (certo esagera, ma a Pontida gioca in casa) e sarà difficile per i giornali nasconderci». Punge Letta, attacca il reddito, la Fornero, parla di lotta all’immigrazione clandestina, ma soprattutto lancia la sfida: «Andiamo a vincere (un po’ come Fabio Caressa in una telecronaca del 2006) queste elezioni. Andiamo a vincere e a governare. Perché con Giorgia (Meloni) e Silvio (Berlusconi) siamo d’accordo su tutto e possiamo guidare l’Italia per i prossimi cinque anni».

Salvini chiude così Pontida 2022 e il popolo della Lega lentamente defluisce. C’è chi torna al pullman, chi alla macchina e chi invece si ferma ancora per una birra o un panino con la salamella. Quasi nessuno parla più di politica, del voto, delle elezioni. E c’è chi si si tuffa nel passato: «Le ho fatte quasi tutte. Le più belle quelle dell’Umberto» e dei gadget un tempo improbabili e oggi introvabili. «Ma anche quella di oggi – spiega il leghista bergamasco – me la porto nel cuore. Perché siamo tornati qui e domenica torniamo a governare». E Salvini? «Ecco – conclude – grazie a Salvini».