Moschea a Sesto Calende, il Comune perde ancora davanti al Tar

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SESTO CALENDE – E’evidente che la strategia adottata dalla maggioranza di Sesto Calende per frenare la costruzione di un’area per il culto islamico non stia dando gli effetti sperati. Per la seconda volta in sette anni il Comune di Sesto Calende soccombe al tribunale amministrativo della Lombardia, trascinato davanti ai giudici dall’associazione “Comunità islamica ticinese” che con la sentenza numero 1557 del 2020 ha ottenuto l’annullamento della delibera del consiglio comunale del 2017 oltre naturalmente al pagamento delle spese legali. Ora alla giunta di Giovanni Buzzi non resta che l’ultima carta da giocare: il Consiglio di Stato. E nei giorni scorsi ha impegnato altre risorse per nominare l’avvocato che difenderà l’ente in secondo grado.

La sentenza

Il Tar della Lombardia, annullando la delibera del consiglio comunale di Sesto Calende del 2017, dice espressamente che «il Comune non può più sottrarsi all’obbligo di esaminare le richieste che mirino a dare un contenuto sostanziale effettivo al diritto del libero esercizio dell’attività di culto, sia nella fase pianificatoria, sia nella fase successiva».
I giudici amministrativi hanno respinto praticamente ogni aspetto della difesa del Comune, a partire dalla domanda di sospensione del giudizio motivata dalla circostanza che è pendente il giudizio d’appello avverso la sentenza del 2013 che, anche in quell’occasione, dava ragione alla comunità islamica.
La sentenza ricorda inoltre come la Corte Costituzionale affermi che il libero esercizio del culto è un aspetto essenziale della libertà di religione, garantito dall’articolo 19 della Costituzione. Inoltre, viene precisato, la libertà di culto si traduce anche nel diritto di disporre di spazi adeguati per poterla concretamente esercitare. Da questi principi discende un duplice dovere a carico delle autorità pubbliche a cui compete il governo del territorio: in positivo, in applicazione al principio di laicità, le Amministrazioni competenti devono prevedere e mettere a disposizione spazi pubblici per le attività religiose; mentre, in negativo, esso impone che non si frappongano ostacoli ingiustificati all’esercizio del culto nei luoghi privati e che non si discriminino le confessioni nell’accesso agli spazi pubblici.

E ora?

L’accoglimento del ricorso per motivi aggiunti e il conseguente annullamento dell’atto impugnato – si legge nella sentanza – implica l’obbligo per il Comune di riesaminare la domanda dell’Associazione, «avviando una istruttoria tesa a ricercare un’area idonea per accogliere una struttura religiosa che risponda alle richieste della comunità islamica, eventualmente previa variante al Pgt, ove necessaria». La circostanza che il Piano dei servizi non individui un’area idonea per la costruzione di una moschea non viene ritenuta ragione legittima per non esaminare la domanda dei fedeli di Allah. Il Tar è fin troppo chiaro: «Alla luce delle indicazioni della Corte Costituzionale, l’Amministrazione ha l’onere di ricercare una possibile soluzione, considerando un luogo di culto al pari di un’opera di urbanizzazione secondaria. Nell’ambito di questa fase di valutazione dell’istanza dell’Associazione, trattandosi di attività di gestione del territorio, i limiti alla discrezionalità di cui gode l’Amministrazione sono rappresentati, da un lato, dai principi costituzionali in materia di diritto di culto e di libertà di religione, dall’altro, dall’obbligo di prevedere e mettere a disposizione luoghi adeguati alle attività religiose, eliminando elementi di discriminazione nell’accesso agli spazi».
I giudici amministrativi sottolineano infine che la Corte Costituzionale ha altresì ricordato che, secondo le regole generali, la realizzazione di un impianto di interesse pubblico che richieda la modifica di previsioni di piano si può tradurre in una semplice variante parziale allo strumento urbanistico. «Pertanto, l’Amministrazione, nell’esame dell’istanza, ha l’onere di avviare un’attività di ricerca della possibile soluzione, valutando anche il ricorso allo strumento della variante parziale».
Sarà questo l’inevitabile iter se ora il Consiglio di Stato confermerà la decisione del Tar.

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