Sì alle armi, no alle armi: il Conte alla rovescia

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Giuseppe Conte

di Massimo Lodi

Alessandro Alfieri, varesino, senatore, fedelissimo del ministro della Difesa, dichiara: Conte vuol mettere in difficoltà l’esecutivo. Non affondandolo subito, però. Forse in autunno, per avere mani libere e barricadiere in vista delle politiche 2023. Adesso, con traguardo le amministrative del 12 giugno e i referendum sulla giustizia, gli basta sfregiarne l’immagine. Dicono i suoi nemici: non vede l’ora di rivalersi su Draghi. Lo giudica l’usurpatore, e anziché riconoscere d’aver fallito la raccolta di voti parlamentari che nel 2021 gli avrebbe permesso d’impiantare un governo-ter, addossa la colpa dei suoi limiti all’attuale premier.

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Massimo Lodi

La storia delle spese militari extra non è una novità. Nel doppio mandato a Chigi, l’allora presidente del Consiglio le aumentò del 17 per cento. Ora che c’è la guerra da subire, il patto con la Nato da rispettare, una credibilità internazionale da proteggere, s’innesta la marcia indietro? Si disattendono gl’impegni? Viene messo in dubbio il ruolo dell’Italia al fianco dell’Ucraina e degli alleati occidentali? E cosa vuol dire: no al riarmo, esistono urgenze economico-sociali più importanti? Chiunque capisce che il rifiuto del primo peggiorerebbe le seconde. O si creano le condizioni per un ritorno alla pace (e difendere la libertà con gli eserciti ne rappresenta il presupposto) o il tracollo sarà epocale. Pagheranno dazio i deboli. Conte si difende: il nostro pressing ha fatto spalmare l’esborso in più anni. Draghi replica: ha deciso Guerini, non Conte.

Una cosa è certa. Bisognerebbe dar prova d’essere statisti, invece di dar esca a dubbi sul contrario. Nel solco d’una improvvisazione che aveva già raccontato tutto di sé: Conte leader per caso del governo Salvini-Di Maio, e ancora leader per caso-bis del governo Zingaretti-Di Maio, e infine leader per caso-tris d’un grillismo allo sbando, spaccato in fazioni, riottoso a perseguire una coerente linea operativa: prima antieuropeo poi filoeuropeo, statalista anziché liberomercatale, contro e a favore dell’Atlantismo, fan di Putin e vaffan del medesimo.

Oscurato da tante ombre, l’avvocato di Volturara Appula sembra cercare luce nell’unico angolo di ribalta disponibile: il pacifismo-populismo. Insegue lì un residuale consenso: secondo i sondaggi il 12 per cento del 33 di quattro anni fa, col rischio di finire sotto il 10. Draghi ha una carta semplice per contrastare l’incursore: ogni volta possibile, raduni il Parlamento verificando chi sta con lui, cioè con l’Italia, e chi no. I Cinquestelle – o quel che ne sopravvive – confermeranno quanto (1) Di Maio e Conte siano tra di loro distanti; e quanto (2) lo siano i giorni in cui l’M5S rappresentava davvero il partito di maggioranza relativa; e quanto (3) lo siano i carrarmati di Mariupol, Kherson, Kharkiv, Kiev dalle mine/dai petardi di Roma.

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