Somma, omicidio Faraci: assolta in Appello la moglie Melina Aita

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SOMMA LOMBARDO – Omicidio di via Briante, la Corte di Appello di Milano ha assolto oggi 13 ottobre Melina Aita, la moglie di Antonino Faraci, ucciso il 12 aprile del 2014 nella loro villetta a Somma Lombardo. 

Resta un colpevole 

Dopo due ore e mezza di camera di consiglio, la Corte d’Assise del tribunale di Busto Arsizio, presieduta dal giudice Renata Peragallo, nel 2018 aveva emesso la sentenza di primo grado: fine pena mai per Melina Aita, moglie della vittima Antonio Faraci, e per i due cittadini tunisini Bechir Baghouli e Slaeddine Ben Umida, scappati all’estero dopo l’omicidio. Oggi è stato ribaltato il verdetto: Melina Aita non è la mandante dell’omicidio. Assolto anche Slaeddine Ben Umida. L’unico colpevole resta Bechir Baghouli, le cui tracce ematiche sono state rinvenute sul luogo del delitto. Per lui ridimensionata la pena: dall’ergastolo a 24 anni di reclusione. 

Assoluzione a caratteri cubitali

«Un’assoluzione a caratteri cubitali: per non aver commesso il fatto – commenta l’avvocato Pierpaolo Cassarà, difensore di Aita – In primo grado la mia assistita è stata condannata all’ergastolo nemmeno sulla base di indizi ma sulla base di sospetti. E’ inaccettabile il pensare di poter cristallizzare un fatto così grave e definitivo come un omicidio sul nulla. Qui non eravamo nemmeno nelle vicinanze del ragionevole dubbio». Cassarà sottolinea come per Aita «oggi sia finalmente terminato un incubo. Un incubo che l’ha devastata anche sul piano personale. La mia assistita è stata schiacciata, la sua vita messa alla berlina. Durante il processo di primo grado si è insistito nel mettere in piazza dettagli intimi che nulla avevano a che vedere con il procedimento per omicidio in corso. Non solo: Aita è stata ristretta in carcere per quasi 5 mesi. Se la sentenza di assoluzione diventerà definitiva, non sappiamo se la procura generale la impugnerà in Cassazione, questo ci permetterà di chiedere il giusto risarcimento per il danno patito».

Il pregiudizio non sia fuorviante

Se possibile il compito dell’avvocato Marco Brunoldi, che assisteva d’ufficio Bechir Baghouli e Slaeddine Ben Umidaè stato ancora più complesso. Difficilissimo assistere qualcuno che non si è mai nemmeno incontrato, con il quale non ci si è potuti confrontare per avere elementi concreti sui quali fondare la difesa. Non va dimenticato, infatti, che i due cittadini tunisini sono fuggiti all’estero e sono tutt’ora latitanti. Se la difesa di Brunoldi è stata tanto tecnica, quanto efficace, l’apertura dell’arringa finale ha puntato un faro su un punto fondamentale: «Non ci si faccia fuorviare dal pregiudizio». Poche parole ma estremamente efficaci. Due cittadini stranieri, in fuga, latitanti. Facile guardarli come i colpevoli perfetti. Ma i fatti dimostrano altro. Ben Umida (poi assolto) «Può essere definito l’uomo sbagliato arrivato al momento sbagliato – spiega il legale – Non c’è alcuna prova che lui si sia trovato nella villetta di Somma al momento del fatto. Lui semplicemente è l’intestatario della macchina individuata dalle telecamere a Somma. Non c’è una traccia ematica, un’impronta o una traccia biologica (Dna) che dimostrino la sua presenza sul luogo del fatto. Non c’è alcuna prova a suo carico». A carico di Baghouli ci sono invece «C’è una traccia ematica trovata nell’abitazione comparata con del sangue trovato su un fazzoletto di carta individuato nella tasca di un giubbotto che i coinquilini del mio assistito hanno dichiarato appartenere a lui», conclude Brunoldi.

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