Sotto il cielo d’Europa il risiko delle nomine comunitarie

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di Antonio Laurenzano

A poco più di un mese dalle elezioni europee del 26 maggio, i 28 capi di Stato e di Governo dell’Ue hanno disegnato a Bruxelles i vertici della nuova Europa: la presidenza della Commissione europea alla democristiana tedesca Ursula von der Leyen e la presidenza della Banca centrale europea alla francese Christine Lagard. Due donne alla guida delle due più importanti istituzioni comunitarie, in un ideale intreccio politico-economico.

laurenzano nomine europa risikoMa quanto è accaduto nelle estenuanti trattative in seno al Consiglio europeo ha sollevato dubbi e perplessità per il metodo seguito. Si trattava di comporre un puzzle complicato nel rispetto del risultato elettorale, ma l’ingerenza dei governi nazionali ha di fatto cestinato, dopo appena una legislatura, il “sistema degli spitzenKandidaten” (candidati di punta), utilizzato per la prima volta nel 2014 per nominare Jean- Claude Junker presidente della Commissione europea. In base a tale meccanismo, la presidenza dell’esecutivo comunitario viene assegnata al candidato principale del partito politico europeo che ha ottenuto il maggior numero di seggi al Parlamento Ue. Obiettivo del sistema, frutto di un accordo fra Consiglio, Parlamento e gruppi politici, è quello di rafforzare la legittimità democratica dell’esecutivo comunitario.

In tale ottica, il Ppe aveva incoronato lo scorso novembre a Helsinki come suo candidato di punta per guidare la prossima Commissione Ue Manfred Weber, 46 anni, deputato bavarese della Csu, convinto europeista (“riportare l’Europa alle persone”). Sul fronte socialista, l’olandese Franz Timmermans (“equità e lavoro”), classe 1961, primo vice presidente di Junker, è stato ufficialmente investito della candidatura dal Congresso del Pse, a Lisbona nei mesi scorsi.ca

Accordi e patti della vigilia clamorosamente smentiti dai fatti. Il Consiglio europeo, anche per il veto incrociato dei Paesi di Visegrad assecondati dai sovranisti di casa nostra sulla figura di Timmermans, ha rimescolato le carte trovando un’intesa, ispirata dal presidente francese Macron, per chiudere un negoziato che rischiava di avvitarsi su se stesso. Per il Parlamento europeo è una sconfitta che conferma il peso preponderante dei governi nelle decisioni europee. Ha prevalso ancora una volta la linea franco-tedesca per una discutibile distribuzione politica e geografica degli incarichi, tutti collocati nella parte occidentale dell’Ue, compreso quello del liberale belga Charles Michel, neo presidente del Consiglio europeo, e dello spagnolo Josep Borrel, nel ruolo di Alto Rappresentante per la Politica estera e di Sicurezza.

Ma la partita non è ancora chiusa. Martedi 16 luglio il Parlamento europeo dovrà votare sulla scelta di Ursula von der Layen alla presidenza della Commissione, ed esprimere il gradimento o meno dei candidati Commissari. Non ci sarà quindi da stupirsi se i parlamentari di Strasburgo, nel rivendicare la loro autonomia istituzionale, presenteranno il conto per la rottura del patto. Eloquente la dichiarazione del presidente uscente del Consiglio europeo Tusk: “l’esito del voto parlamentare è un enorme punto interrogativo, una vera incognita”.

L’accordo raggiunto a Bruxelles dai Ventotto difficilmente verrà accettato dai principali partiti, in primis i socialisti. E malumore serpeggia anche fra i verdi e parte degli stessi popolari, “tristi per una decisione poco trasparente, per niente rispettosa dello “Spitzenkandidat” e del voto degli elettori. La presidenza del Parlamento europeo affidata al socialista italiano Davide Sassoli non basterà certo a far rientrare le critiche dell’Assemblea di Strasburgo tenuta ai margini del “pacchetto” confezionato dall’asse Berlino-Parigi. Un inizio tutto in salita per la nuova Europa alla ricerca di una legittimazione democratica della sua leadership.

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