Una spallata all’Europa per costruire il futuro

di Fabrizio Iseni*

Lo spread fra Btp italiani e Bund tedeschi ha sfondato quota 330 punti e la Commissione europea è pronta a bocciare nuovamente la manovra dell’Italia e a dichiarare non in linea con le regole del Patto di stabilità e di crescita il percorso di rientro del debito pubblico del nostro Paese. La Commissione Ue renderà note le sue conclusioni domani, mercoledì 21 novembre. Si compirà così il primo passo sulla strada che, in assenza di fatti nuovi, porterà all’apertura di una procedura per deficit eccessivo dovuta al debito.

Il Ministro dell’Economia Giovanni Tria gioca le sue ultime carte, ma lo scontro pare inevitabile: “Il programma del governo non cambia ma c’è la volontà di discutere” dice il Ministro. La posizione italiana è che non si può focalizzarsi solo sul deficit italiano, soprattutto di fronte ad un rallentamento dell’economia europea. “Era necessario aumentare il deficit per fare ciò che il governo ritiene importante, ma certamente non abbiamo sforato i parametri” dice Tria. E poi: “Il deficit adottato, può piacere o no, è uno dei più bassi della storia italiana, la Francia ha sempre avuto un deficit più alto. Abbiamo certamente debito più alto e abbiamo il problema di ridurlo, ma se guardiamo ai dati prospettici del passato, la dinamica della salita è più contenuta di altri Paesi”.

Ma cerchiamo di capire cosa c’è dietro questo scontro durissimo fra il Governo italiano e l’Unione europea. Cosa accadrà all’Europa se il Decreto di Programmazione Economica varato dal Governo produrrà i risultati previsti? E’ una domanda che divide rivoluzionari e conservatori. Gli economisti avanzano previsioni nefaste. Non essendo economisti, noi ci limitiamo a raccogliere alcuni dati di fatto e fare alcune osservazioni.

Se il DPEF produrrà gli effetti ipotizzati dal governo italiano (un governo sicuramente di cambiamento), gli effetti in Europa faranno impallidire quelli prodotti dalla Brexit (e saranno ben più violenti di una Italexit). Sarà un autentico terremoto perché destabilizzerà completamente l’attuale sistema economico finanziario, disegnando lo scenario di un’UE più vicina alla gente e ai popoli che la compongono, e meno legata alla necessità di far quadrare i conti e di sostenere banche e finanza. E questo spiega l’avversione e i toni aspri contro le scelte del governo italiano, come ha dichiarato anche Matteo Salvini: «Se non mi fanno “saltare”, io vado fino in fondo. Ci sono enormi interessi economici in ballo. Ovunque ti muovi vai a toccare interessi economici stratificati da anni». E punta il dito contro i commissari europei che avrebbero interessi particolari sull’Italia: «Hanno fatto il tentativo con la piccola Grecia e ora vogliono provare a fare il colpo grosso. Ma con noi non ci riescono, perché l’economia italiana è sana. Abbiamo uno dei risparmi privati più elevati al mondo ed è lì che vogliono arrivare».

Secondo punto: se davvero il DPEF riuscirà nel suo intento, rilanciando l’economia reale e riportando benessere, dovremo aprire una riflessone seria su come l’Europa ha gestito e gestisce le proprie politiche. E questo sarà un terremoto di magnitudo politica 10.5. Obiettivo dichiarato dell’Italia è rinunciare alla quadratura dei conti per sostenere con maggiori risorse l’economia reale. Questo è il nocciolo: l’economia reale, non quella virtuale che è basata sui numeri, sul debito e sul risparmio. Un’economia reale fatta di investimenti nell’industria e nel mondo del lavoro (punto sul quale si inseriscono reddito di cittadinanza e abolizione della legge Fornero), un’economia che produce ricchezza e dunque fa realmente crescere il Paese e la qualità della vita dei propri cittadini. Un modello che non piace ovviamente ai sostenitori dell’economia virtuale, basata invece sulla finanza e dunque sul risparmio. La crescita dell’economia reale passa attraverso gli investimenti, ma investimenti significano minori profitti, e dunque minori capitali da inserire – nell’immediato – nell’economia virtuale e nella finanza. D’altra parte, però, investire significa credere nel futuro e sviluppare quelle attività industriali che danno lavoro alla gente, lavoro che dà alle famiglie una maggiore capacità di spesa e consente realmente di far crescere l’intero sistema.

Sono scelte che un imprenditore è chiamato a fare quasi ogni giorno. Ed io, imprenditore varesino, ho sempre scelto di investire, perché credo fermamente nella crescita dell’economia reale, che dà lavoro. Questo giornale, Malpensa24, ne è l’esempio concreto: in un periodo in cui i giornali chiudono, licenziano, mettono in cassa integrazione, ho deciso di andare controcorrente e di investire creando dal nulla un giornale che, nel giro di pochi mesi, è diventato un punto di riferimento informativo per migliaia di persone, investendo nel capitale umano, cioè la redazione, che ha saputo ripagare tali investimenti offrendo a tutti noi lettori un’informazione seria, obiettiva, autorevole. Alzi la mano chi pensa che sia stata una scelta sbagliata. Certo, avrei potuto mettere immediatamente a frutto i capitali invece di investirli, ma non avremmo avuto questo giornale, non avremmo creato posti di lavoro, non avremmo un organo di informazione autorevole, cioè uno sguardo serio (il vostro sguardo) sulla società e sulle istituzioni che ci governano. Credere nel futuro è fondamentale per un imprenditore, altrimenti meglio che cambi mestiere.

Quindi, da imprenditore non posso che sostenere l’economia reale, anche se è la strada più difficile e più faticosa. E nella mia realtà varesina, ho sempre attuato ciò che oggi, a livello nazionale, questo governo (sotto attacco) cerca di portare avanti. Non bisogna essere economisti per capirlo. Come non serve essere economisti per capire che il modello imposto fino ad oggi ha impoverito gli Stati e i popoli.

Completo l’analisi, da imprenditore: economia reale (per semplificare, quella in cui l’industria è protagonista) ed economia virtuale (per semplificare, quella dominata dalla finanza) sono due modelli che difficilmente vanno d’accordo nel mondo di oggi. E torniamo al nocciolo della questione: se le scelte del governo italiano si dimostreranno vincenti, sarà un colpo letale per l’attuale establishment europeo e per quell’economia virtuale che negli anni ha dominato anche a casa nostra, imponendoci sacrifici e bloccando la crescita. Ecco perché il Decreto di Programmazione Economica è più pericoloso di un’uscita dall’Europa. Perché potrebbe scardinare dall’interno il sistema. E questo a Bruxelles lo hanno capito. E lo temono.

Nella trentina di pagine del DPEF (incredbilmente poche rispetto a ciò a cui siamo sempre stati abituati) è contenuta una vera e propria rivoluzione economica ma anche culturale e sociale. I ministri Tria e Savona non vogliono uscire dall’Europa, ma creare un’autentica sostenibilità sociale nella zona euro. Vogliono un’Ue che non badi esclusivamente agli aspetti contabili e alla grande finanza internazionale, ma in primis ai popoli. Ed è curioso che questa rivoluzione parta proprio dall’Italia. E dico “parta” perché se il nuovo modello si rivelerà vincente, sarà sicuramente contagioso e segnerà la fine dell’Europa così come la conosciamo ora, lontana dai problemi della gente, trasformandola invece in quello che invece dovrebbe essere: un’unione di popoli, prima ancora che di istituti finanziari. Una sfida al presente per costruire un nuovo futuro.

*editore di Malpensa24

Spread europa iseni – MALPENSA24