Cherubino, biografia da film e «l’occasione perduta dell’ospedale di Varese»

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VARESE – Medico, docente, professionista e educatore di giovani: «l’oceano di cose da raccontare» della vita senza un attimo di pausa di Paolo Cherubino, luminare dell’Ortopedia e cittadino del mondo, è stato raccolto in “Lo chiamavano John Wayne”, libro a scopo benefico pubblicato da Pacini Editore e firmato da Matteo Inzaghi, direttore di Rete 55. Oggi, mercoledì 17 febbraio, il giornalista di Varese ha presentato l’opera insieme al suo protagonista in un incontro le cui riflessioni hanno spaziato dall’organizzazione delle attività ospedaliere a quella della produzione dell’olio di oliva, ripercorrendo esperienze e peripezie che non hanno intaccato “un’identità genuina, un carattere generosamente spigoloso e un amore per la vita empatico e appassionato”.

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Una vita da film

«Ho letto libri dedicati a vite che contenevano il dieci per cento di quello che ha fatto lui», ha raccontato Inzaghi. «L’idea è nata per caso, durante una chiacchierata al ristorante e sulla scia di un’amicizia ventennale. All’ascolto di un aneddoto, gli ho detto: “La tua è stata veramente una vita da film. Non hai mai pensato a realizzare un’autobiografia?”. “Si può fare, se la scrivi tu”, è stata la risposta. Il titolo è nato dal fatto che qualche anno prima, per la mia passione di creare parallelismi tra personaggi immaginari o divi del cinema e persone reali, avevo paragonato Paolo a John Wayne. L’accostamento è dovuto anche a diverse sue caratteristiche: oltre a essere un grande esperto di western, è un profondo conoscitore degli Stati Uniti ed è vicino ad alcuni loro ideali».

Il primo preside della facoltà di Medicina

Tra un trasferimento in Giappone senza conoscere una parola della lingua e un sequestro di persona subito in Albania, innumerevoli viaggi e convegni in tutto il mondo è stato ricordato il ruolo di Cherubino nelle origini dell’Università dell’Insubria. «Era nata per gemmazione da quella di Pavia, con solo corsi duplicati. Quando però si è voluto fare qualcosa in più, è stato fra i migliori che si è deciso di spendere per questo scopo, facendone un precursore», ha sottolineato Inzaghi. Come ha tuttavia rilevato il primo preside della facoltà di Medicina, alla luce dell’attuale situazione, e al netto del Covid, quella dell’ospedale e dell’ateneo «è stata una doppia occasione perduta. Dopo undici anni mi sono dimesso perché non più in sintonia con il rettore; quando ho lasciato, i trentadue docenti che c’erano in origine erano diventati centoventisei. Mentre lo scambio di idee con i colleghi è sempre rientrato nella normalità, con l’amministrazione è stato invece più pesante».

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Il rispetto umano per il paziente

«A un certo punto, una certa amministrazione regionale ha deciso di fare un nuovo ospedale», ha continuato Cherubino. «La prospettiva era mettere ottanta letti su un piano con un solo studio per i medici: ho partecipato all’elaborazione di un progetto più funzionale. E l’intento era ridurre i letti al massimo. Ma Varese poteva – e doveva – essere un centro di riferimento a livello nazionale e internazionale». Tra le vite vissute dal professore c’è stata quella chiamata da Inzaghi “del secchione”, che doveva non solo saper stare in quegli studi ma anche cercare di dare più del massimo: «Mio padre, sebbene fosse un vero barone universitario, non mi ha mai aiutato. Ho litigato con Formigoni, e tutta una serie di direttori generali, ma nessuno può togliermi la mia professionalità. Ora vedo soprattutto una rincorsa al soldo, non c’è più rispetto umano per i pazienti: ai giovani ho invece ripetuto sempre di essere umani, onesti e abili nei loro confronti. Quelli che mancano di più sono i dottori di medicina generale, il medico che possa delineare il quadro generale della tua situazione non esiste più».

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