Varese, processo Molina: Airoldi e Campiotti si difendono in aula

VARESE – “Immaginavo la targa che mi avrebbe descritto come il presidente che avrebbe fatto spendere meno soldi agli utenti riuscendo a preservare il capitale”. E’ tornato in aula oggi, mercoledì 26 gennaio, in tribunale a Varese il “processo Molina”. Davanti al collegio presieduto da Andrea Crema hanno reso esame i due imputati. Christian Campiotti, ex presidente della Fondazione Molina, difeso dall’avvocato Pietro Romano e accusato di concorso in peculato, e Lorenzo Airoldi, imprenditore varesino e editore della locale emittente televisiva Rete 55, difeso dall’avvocato Stefano Bruno, accusato di peculato.

L’investimento

E proprio Campiotti, in aula, ha dichiarato, con una certa ironia, di aspettarsi una targa per meriti gestionali in relazione alla decisione di sottoscrivere un prestito obbligazionario da 450 mila euro emesso da Rete 55 evolution, “controllata” di Rete 55. Campiotti ha spiegato che all’epoca “le condizioni di mercato sul piano dei tassi erano penalizzanti”. L’operazione, a detta dell’ex presidente della Fondazione Molina, a fronte di un rendimento dei Btp pari a 0,7%, avrebbe fruttato un interesse pari al 9% alle casse della Fondazione.

L’affare cinese

A fronte di una necessità di far fruttare al meglio i cospicui fondi nelle casse del Molina palesata da Campiotti per spiegare la decisione di sottoscrivere il prestito obbligazionario sono arrivate le dichiarazioni in aula di Airoldi. Il quale ha spiegato come, anche in seguito a vicende problematiche, nel 2015 era arrivato alla decisione di vendere l’emittente. Fu lì che apparve all’orizzonte “l’affare con i cinesi”. Un gruppo d’oriente pronto a investire trasformando Rete 55 in canale internazionale e che avrebbe poi lasciato sfumare l’affare “a causa della tempesta mediatica che aveva investito Rete 55”, nel 2016, però, subito dopo le elezioni amministrative a Varese.